Le cose da
fare te le dice una guida dell’Inps
pubblicato su Consulenza, la rivista di Buffetti il 9 gennaio 2019
Possono essere diverse
le occasioni, al giorno d’oggi, per cui un cittadino italiano si reca
all’estero, vuoi per lavoro, vuoi per turismo, vuoi per altre necessità, anche
di carattere familiare, per soggiorni di durata variabile, più o meno lunghi.
Può accadere anche che ci si possa recare fuori dai nostri confini per
sostenere cure per malattia o altre indisposizioni. La legge italiana e la
prassi amministrativa sono più volte intervenute individuando i casi che si
possono presentare nell’eventualità che durante il soggiorno all’estero insorga
una malattia o altro evento invalidante, che non consentano una normale
attività, tanto lavorativa quanto di fruibilità del periodo feriale.
Le disposizioni che
regolano la certificazione ed il trattamento di malattia dei cittadini italiani
all’estero sono varie, a seconda che il
soggiorno riguardi situazioni lavorative oppure turismo o altre cause non
legate al lavoro. Nel caso di lavoratori temporaneamente occupati all’estero
esiste una procedura ormai consolidata per il caso che il lavoratore sia
dipendente da aziende italiane operanti in paesi dell’Unione Europea oppure
disciplinati da convenzioni bilaterali con l’Italia. In questa sede ci
occupiamo però più diffusamente di chi si trovi all’estero e basta e che,
durante il suo soggiorno, incorra in una malattia fuori dai confini nazionali.
Anzi se ne occupa una guida informativa
che l’Inps ha diffuso recentemente sull’ argomento.
Viene innanzi tutto
ribadito il principio, già noto, che il cittadino italiano che temporaneamente
si trovi all’estero abbia comunque diritto, in caso di malattia intervenuta,
alle prestazioni economiche previste dalla normativa italiana, a condizione,
naturalmente, che sia un lavoratore titolare di una posizione previdenziale.
Però perché questo diritto possa essere effettivamente esercitato è necessario
che si registrino alcune condizioni.
In primo luogo e in ogni
caso, la certificazione medica. È intuitivo che verrà rilasciata da un medico
del paese dove l’interessato si trova nel momento in cui l’impedimento insorge,
ma è abbastanza evidente anche che potremmo essere, anzi sicuramente saremo, in
una situazione legislativa e di prassi che dovremo adattare alle regole in uso
nel nostro paese per poter aver diritto alle prestazioni relative al temporaneo
stato d’ incapacità lavorativa. È chiaro che se l’interessato sta soggiornando
all’estero per un periodo di ferie lo stato di malattia interrompe le ferie,
non solo, ma il medesimo avrà diritto alle prestazione previdenziali di
malattia alla stessa stregua di un evento che si verifichi nel nostro paese. È
altrettanto chiaro che lo stato di malattia decorrerà dal giorno in cui sarà
stato dichiarato dal medico, per cui sarà opportuno che l’attestazione
d’incapacità lavorativa venga rilasciata il primo giorno dell’evento. L’Inps
ricorda anche che tale certificazione, che comunque sarà redatta nel rispetto della legislazione
del paese in cui si verifica l’evento, dovrà contenere i dati essenziali richiesti
dalla normativa italiana, ossia (riporto testualmente dalla pubblicazione Inps)
intestazione, dati anagrafici del lavoratore, prognosi, diagnosi d’ incapacità
al lavoro, indirizzo di reperibilità, data di redazione, timbro e firma del
medico. Da sottolineare l’importanza dell’indirizzo di reperibilità perché,
anche se l’interessato si trova all’estero, possono essere effettuate visite di
controllo per accertare l’effettività dell’impedimento e lo stato d’incapacità
al lavoro.
Ci sono però, per
oggettive situazioni, modalità diverse a seconda che l’evento insorga in un paese
dell’Unione Europea, oppure in una nazione che non ne fa parte; e anche in
questo secondo caso bisogna distinguere se il cittadino caduto ammalato si
trova in una nazione che abbia stipulato accordi o convenzioni di sicurezza
sociale con l‘Italia oppure no. Ad ogni modo però, la regola del primo giorno
d’insorgenza della malattia per ottenere il certificato medico non muta.
Nella prima eventualità
(impedimento insorto in un paese facente parte dell’Unione Europea) occorre
rifarsi alle disposizione comunitarie, le quali prevedono l’ applicazione della
normativa del paese d’origine. Perciò nel nostro caso, il cittadino lavoratore
italiano che cada ammalato oppure subisca un infortunio durante un soggiorno in
un paese dell’Unione dovrà rivolgersi ad un medico del paese che lo ospita,
farsi rilasciare il certificato e trasmetterlo entro due giorni alla sede Inps
di competenza, nonché nello stesso termine al datore di lavoro. È intuitivo che
l’incombenza è a carico suo e non del medico, che non ha rapporti col nostro
servizio sanitario nazionale. L’onere della traduzione del certificato, che
sarà presumibilmente rilasciato nella lingua del paese ospitante è a carico
dell’Inps.
Nulla si dice invece in proposito per la copia destinata al datore di lavoro,
che dovrà evidentemente provvedere alla traduzione per conto proprio.
Più complessa invece
risulta la procedura se il cittadino italiano cade ammalato in un paese non
facente parte dell’Unione Europea, ma in questo caso occorre distinguere se si
tratta di un paese con cui siano stati
stabiliti accordi o convenzioni bilaterali di sicurezza sociale oppure no.
Entra in gioco infatti l’istituto della
legalizzazione, che consiste, come spiega la circolare Inps n. 136 del 25
luglio 2003, nell’attestazione fornita dall’ autorità diplomatica o consolare
operante nel territorio estero interessato, che il documento rilasciato dal
medico è valido ai fini certificativi secondo le disposizioni locali; tale attestazione
integra la conformità all’originale della traduzione effettuata dal traduttore
abilitato. Tale legalizzazione, che come abbiamo visto non viene richiesta se
l’assenza dal lavoro o l’interruzione delle ferie è causata per un evento
accaduto in un paese UE, non è ritenuta necessaria neppure per quei paesi che
abbiano stipulato la convenzione bilaterale di cui sopra; la circolare fornisce
anche un elenco non esaustivo di questi paesi e precisamente Argentina, Bosnia-Erzegovina,
Brasile, Jersey e Isole del Canale, Macedonia, Montenegro, Principato di
Monaco, Repubblica di San Marino, Serbia, Tunisia, Uruguay e Venezuela. Resta
peraltro inteso che l’esistenza della convenzione bilaterale equipara di fatto
tali paesi, per questa specifica funzione, ai paesi dell’Unione Europea.
L’istituto della
legalizzazione invece deve operare necessariamente per tutti i paesi extra Ue
con i quali l’Italia non abbia stipulato accordi o convenzioni bilaterali. C’è
da considerare tuttavia che, fermo restando l’ obbligo per il cittadino
italiano interessato di trasmettere all’Inps e al datore di lavoro la
certificazione semplice entro due giorni dal rilascio, i tempi della
legalizzazione sono quasi certamente più lunghi e pertanto non viene fissato un
termine temporale di scadenza, potendo anzi il lavoratore stesso presentare la
certificazione legalizzata in un momento successivo al rientro oppure per via
epistolare, restando inteso che l’Inps potrà corrispondere l’indennità solo a
presentazione avvenuta. Lo stabilisce sempre la citata circolare 136.
Esiste però un’eccezione
di carattere agevolante anche a questa regola e riguarda i rapporti con i paesi
aderenti alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, che sono precisamente in
numero di 76, tra cui, maggiormente significativi per le relazioni col nostro
paese, Albania, Australia, Cile, Cina popolare, Russia, Filippine, Giappone,
India, Israele, Marocco, Messico, Nuova Zelanda, Corea, Turchia, Ucraina ed
anche Stati Uniti d’America. Infatti, per eventi di morbilità che interessino
il lavoratore italiano in uno di questi paesi non viene richiesta una legalizzazione
piena, a condizione che la certificazione presentata rechi la cosiddetta apostille.
Che cos’è
questa apostille? Si tratta di un termine francese, che tradotto in italiano
vuol dire semplicemente postilla, ma che nel linguaggio internazionale assume
un significato più complesso, nel senso che definisce un istituto giuridico di
convalida, da parte di un’autorità competente, dell’ autenticità di un atto
pubblico o anche tra privati. In particolare l’Inps nella guida di cui trattiamo
la definisce “un tipo di legalizzazione semplificata che certifica
l’autenticità della firma, la qualità del firmatario e l’autenticità del
sigillo o del timbro apposto”. In termini pratici, affinché la certificazione
medica sia da intendersi come legalizzata non sarà necessario recarsi presso la
rappresentanza diplomatica italiana, ambasciata o consolato, ma sarà
sufficiente che questa sia validata da un’autorità interna dello stato in cui
la circostanza si sia verificata. In generale ogni singola convenzione
definisce e richiama le specifiche autorità autorizzate a questo scopo, che
sono sempre di derivazione pubblica o svolgenti funzioni pubbliche, come avviene
in qualche caso per i notai, per esempio in Argentina.
La guida
dell’Inps, infine, esamina la possibilità che ci si possa recare all’estero
anche nel corso di una malattia, come può avvenire ad esempio nel caso
l’ammalato abbia bisogno di cure o di soggiorni curativi da rendersi o
svolgersi in luoghi particolari al di fuori dei nostri confini, ma anche indipendentemente
da queste necessità. In frangenti di questo tipo sarà necessario per l’ interessato,
pena la perdita del diritto alla tutela previdenziale, darne comunicazione preventiva
all’Inps, affinché l’istituto stesso sia in grado di valutare, anche a mezzo di
apposita visita ambulatoriale, se il soggiorno possa recare nocumento al
regolare decorso della malattia, anche al fine di evitare rischi di
complicazioni o di aggravamento. Con l’avvertenza di comunicare preventivamente
l’indirizzo estero a cui l’interessato può essere reperibile per ogni
necessità. Visite di controllo incluse.