Quanto
agli Stati Uniti, essi s’intromettono aggressivamente nelle infrastrutture
russe. È veramente fredda questa guerra?
Nel
marzo 2019 si parlava della storia della scoperta di Triton, presentata da diversi autori della cibersicurezza come la
minaccia informatica più nefasta finora conosciuta. Insieme di virus e di
malware concepito su misura da un gruppo di hackers denominati Xenotime, attacca le infrastrutture
industriali ed energetiche di prima importanza: industrie chimiche o
petrolchimiche, unità di trattamento delle acque, centrali elettriche.
Triton
fu casualmente scoperto nel corso di un’intrusione nel complesso petrolchimico
Petro Raghib in Arabia Saudita, in cui aveva fatto saltare le chiavi di
sicurezza destinate ad impedire una catastrofe in caso di disfunzioni. In
pratica, con qualche clic gli hackers avrebbero senza dubbio potuto provocare
esplosioni ed emissioni tossiche, che avrebbero comportato danni umani e
tecnici di considerevole dimensione.
Sappiamo
che Xenotime non s’è fermata a questa prima azione eclatante. Nell’aprile 2019
la società specializzata in cybersicurezza FireEye ha dichiarato di essere stata
ingaggiata da un secondo bersaglio, che ha rifiutato di dire quale fosse, per
far pulizia. Da diversi mesi la società Dragos, esperta nel medesimo campo,
spiegava di essere a conoscenza che gli hackers, presumibilmente russi e forse
legati al Cremlino, s’interessavano da vicino anche a certe strutture europee o
americane.
Non
si sbagliavano: Dragos ha affermato di aver scoperto, in collaborazione con l’E-ISAC
(Electric Information Sharing and Analysis Center) che Xenotime era andata a
frugare attorno alla rete elettrica americana. Secondo Dragos, non meno di venti
differenti strutture, ripartite sull’intera catena di produzione e di
distribuzione, sarebbero state scansite dai pirati. Il loro obiettivo?
Cominciare a misurare la temperatura, capire il sistema, trovare le possibili
falle o porte nascoste per eventualmente depositare più tardi piccole bombe
virali e poi lanciare attacchi veri e propri. Pare che gli hacker russi siano i
migliori del mondo.
Può
essere un caso? Il 15 giugno il New York Times segnalava da parte loro che gli
Stati Uniti e le loro agenzie specializzate si mostrerebbero sempre più minacciosi
nei confronti delle installazioni elettriche russe “con il posizionamento nel
sistema russo di malware potenzialmente paralizzanti, con una profondità e un’aggressività
che non si era mai vista finora”.
In
una sua conferenza stampa il consigliere della sicurezza nazionale John R. Bolton ha fatto capire che le
intrusioni americane erano una risposta alle ingerenze russe nelle elezioni di
medio termine del 2018. Secondo molti analisti si tratta innanzi tutto di un
segnale lanciato a Vladimir Putin per avvertirlo che anche gli Stai Uniti sono
pronti a reagire in caso di attacco cibernetico. Come nota il New York Times,
gli attacchi digitali tra le due nazioni rivali sono ben lungi dall’essere una
novità, con la Russia che dimostra regolarmente l’alto potenziale maligno delle
sue squadre di hacker.
Sembra
peraltro che, da una parte e dall’altra, ci si prepari sempre più attivamente
ad attacchi e risposte molto concrete. Per gli Stati Uniti anche l’Iran
potrebbe costituire un bersaglio mirato.
Thomas Burgel su Wired, riprodotto in Slate
del 19 giugno 2019
(traduzione dal
francese di Silla Cellino)
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