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giovedì 11 maggio 2017

I trattamenti familiari nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto

pubblicato on-line su Consulenza ed. Buffetti del 1 giugno 2017

 

Prosegue la ricognizione da parte dell’Inps delle modalità applicative dei vari istituti previdenziali in seguito all’introduzione della nuova disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e delle convivenze tra persone di sesso diverso o dello stesso sesso. Dopo le istruzioni riguardanti l’utilizzo dei permessi e dei congedi di cui abbiamo trattato in precedente occasione è ora la volta delle istruzioni e dei chiarimenti in materia di assegno per il nucleo familiare, di assegni familiari e infine di assegno per congedo matrimoniale: facciamo riferimento alla circolare n. 84 del 5 maggio, la cui applicazione è prevista a decorrere dal 5 giugno 2016.
Andiamo con ordine: la circolare richiama in primo luogo le condizioni che si sono venute a determinare per effetto della legge 20 maggio 2016, n. 76, nella parte che ne introduce il principio, che equipara lo status di coniuge con quello di parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso; così come nuove condizioni possono entrare in gioco per effetto della costituzione di una convivenza tra persone di sesso diverso o dello stesso sesso, purché tale convivenza venga confermata da situazioni oggettive come lo stabilimento comune di una residenza anagrafica e più efficacemente confermata dall’eventuale sottoscrizione di un contratto di convivenza. All’enunciazione del principio stesso consegue il riconoscimento di taluni istituti. Abbiamo già trattato in un precedente articolo del funzionamento di permessi e congedi. In questa sede ci occupiamo, anzi se ne occupa l’Inps, di prestazioni a sostegno del reddito, in particolare l’assegno per il nucleo familiare, gli assegni familiari nella loro forma residuale.[1] e infine dell’assegno per il congedo matrimoniale, che in conseguenza della Legge 76 estende la sua applicazione anche nei riguardi delle unioni civili, ma non, comprensibilmente, per le convivenze di fatto. Quest’ultimo argomento è abbastanza semplice, in quanto si risolve ad estendere a favore dei componenti dell’unione civile il medesimo diritto al congedo accordato alle coppie eterosessuali in occasione del matrimonio: congedo di otto giorni da fruire entro trenta giorni dalla data dell’evento.
La parte più complessa invece, anche perché caratterizzata da potenziali situazioni differenziate, riguarda le unioni civili, per le quali è necessario considerare le caratteristiche del cosiddetto nucleo di riferimento e le possibili situazioni che al nucleo possono far capo. Per nucleo di riferimento s’intende ovviamente l’unione che si è formata per effetto del nuovo negozio previsto dalla Legge 76 nella sua prima parte.
Nella prima situazione esaminata si fa il caso di un’unione civile in cui solo una delle due parti sia lavoratore dipendente o titolare di prestazione previdenziale, ossia in altri termini pensionato; in questo caso – è scritto nella circolare – a vantaggio della parte titolare  tutelata devono essere riconosciute le prestazioni familiari determinate dalla presenza di un soggetto legato civilmente ma non autonomamente tutelato; ossia dovrà far richiesta per la concessione dell’assegno per il nucleo familiare e ne avrà diritto nella misura prevista dalla legge.
Si può dare l’eventualità – ed è la seconda situazione - che in una unione civile ci sia anche la presenza di uno o più figli di una o di ambedue le parti nati precedentemente alla stipula dell’unione: in questo caso occorre aver riguardo alla qualificazione dell’affidamento, cioè se sia esclusivo oppure condiviso.  Fermo restando che il principio è che al figlio debba essere garantito il trattamento di famiglia, se l’affidamento è esclusivo per la parte che poi, una volta separata, dà vita ad un’unione civile, questa parte avrà diritto a richiedere l’assegno per il nucleo familiare; se invece l’affidamento è condiviso solo una delle due parti avrà diritto a richiedere il trattamento. La domanda che sorge spontanea è ovviamente quale delle due. La circolare non lo dice, anche perché oggettivamente non le compete, e quindi bisogna risalire alla prassi generale che concede questo diritto al genitore collocatario.
Fin qui, a parte la materia, niente d’innovativo in fatto di prassi. Interessante invece - anche se a ben guardare può essere considerata una conseguenza logica – la successiva interpretazione della circolare nella quale si contempla il caso in cui ambedue i genitori, siano essi divorziati, separati oppure naturali, non abbiano una posizione tutelata: ebbene, in questo caso l’altra parte dell’unione civile che abbia il diritto soggettivo a richiedere l’assegno familiare, per esser lavoratore dipendente oppure titolare di prestazione previdenziale sostitutiva, può richiederlo per il figlio o i figli del partner.
Veniamo adesso ad un’ulteriore situazione: quella in cui nascano figli di una delle due parti (o di entrambe si potrebbe aggiungere) dopo l’unione. Anche in questo caso la possibilità di aver diritto all’assegno deve essere garantita; sì, ma come e per quali situazioni? La circolare si limita ad affermare che condizione per la sussistenza del diritto sia l’inserimento del figlio all’interno dell’unione civile, anche mediante il procedimento descritto dall’articolo 252 del codice civile. Per la cronaca tale articolo del codice civile, peraltro abbastanza complesso, riguarda l’eventualità della nascita di figli, cosiddetti naturali, al di fuori del matrimonio di uno dei coniugi e riconosciuti prima o durante il matrimonio; perciò la succinta disposizione dell’Inps potrebbe non essere esauriente per tutte le circostanze che potrebbero verificarsi senza il ricorso santificatorio al procedimento invocato, che altro non è che l’autorizzazione del giudice con il consenso di tutte le parti interessate, ivi compresi i figli legittimi che abbiano compiuto i sedici anni di età e siano conviventi. Non pare perciò del tutto fuori luogo ipotizzare contenziosi di vario genere.
Sempre a proposito di questo argomento la circolare non affronta una fattispecie, sulla quale però si dovrà ragionare ancora de iure condendo: e cioè sulla possibilità che la coppia dello stesso sesso abbia dei figli, comunque procurati, all’interno dell’unione civile; circostanza che non è da ritenere ricompresa tra quelle di cui al periodo precedente, stante il richiamo esplicito all’art. 252 del codice civile. Peraltro situazioni di questo genere, talune con forzature di natura sociale e anche politica, esistono già ed è doveroso occuparsene. L’opinione di chi scrive, anche se l’Inps non lo dice esplicitamente, è che comunque debba essere considerato in primis l’interesse del minore e che quindi si possa procedere alla richiesta dell’assegno per il nucleo familiare avendone diritto.
Infine – e per concludere sulle unioni civili - resta ancora problematico cosa possa accadere nell’ipotesi in cui l’unione civile si sciolga, secondo quanto previsto dai commi 21/26 art. 1 della Legge 76/2016. Com’è noto, lo scioglimento dell’unione civile può avvenire automaticamente per morte effettiva o presunta oppure per rettifica del sesso, oppure su domanda in conseguenza di divorzio per cause legali, recesso unilaterale o scioglimento consensuale. Senza entrare nei termini della procedura, i rapporti tra gli ex membri dell’unione saranno regolati secondo le modalità ed i tempi previsti, resta però il problema dei figli di una delle parti nati dopo la celebrazione dell’unione, che nemmeno l’Inps risolve rinviando la questione ad un parere da darsi a cura del Ministero del lavoro. Anche in questo caso però c’è da ritenere che il Ministero non possa prescindere dal dare una risposta preliminare alla questione, distinguendo cioè tra i figli che possono essere considerati attribuiti ad entrambi i componenti dell’unione civile e quelli attribuibili separatamente a ciascuno dei due.
Due parole infine anche sulle convivenze, che nell’ambito delle unioni non matrimoniali rappresentano certamente il fenomeno più diffuso. La Legge 76 ha stabilito però alcune condizioni per il loro riconoscimento di diritto, introducendo anche una gradualità di posizioni. Ciò che è di base è che, per poter aver diritto ad alcune prestazioni previdenziali, come nel caso dell’assegno per il nucleo nella forma prevista come familiare, non solo ci dev’essere un’effettiva convivenza, condizione accertabile solo con una dichiarazione anagrafica, ma è necessario che esista anche un contratto di convivenza, dei cui contenuti il comma 53 dell’unico articolo della Legge 76 fornisce però  solo un’indicazione generica, nel senso che può contenere  l’indicazione della residenza, che deve esser comune, le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune e il regime patrimoniale della comunione dei beni. Su questo punto l’Inps è più esigente del codice riformato dalla novella, perché per il diritto alla fruizione dell’assegno per il nucleo familiare esige che dal contenuto del patto emerga con chiarezza l’entità dell’apporto economico di ciascuno alla vita in comune.
Concludiamo con una nota di natura procedurale. La domanda per le prestazioni descritte nella circolare dovrà essere presentata all’Inps in via telematica semplicemente indicando il proprio stato e quello del partner, poiché sia nel caso di coniuge, unito civilmente o convivente di fatto ex comma 50 art. 1 Legge 76/2016, i dati probanti sono già contenuti da altra pubblica amministrazione. Infine, il matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana.

Silla Cellino





[1]La circolare ricorda opportunamente che gli assegni familiari nella vecchia versione continuano ad essere erogati a vantaggio di alcune categorie di lavoratori autonomi, coltivatori diretti, coloni, mezzadri e iscritti alle gestioni speciali degli artigiani e dei commercianti.

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