pubblicato sulla rivista on-line Consulenza, ed. Buffetti del 10 aprile 2017
Con la circolare n. 38
dello scorso 27 febbraio l’Inps aggiorna e precisa le sue disposizioni in materia
di permessi retribuiti per cause familiari, alla luce della nota legge n.
76/2016, che istituisce e regola tra l’altro le unioni civili tra persone dello
stesso sesso; “tra l’altro”, precisa infatti l’Inps, perché la materia
interessa anche i soggetti di cui alla parte meno celebrata della legge in
questione, ossia i conviventi di fatto, indipendentemente dalla circostanza che
siano di sesso diverso o dello stesso sesso[1].
Tralasciamo volutamente in questa sede ogni considerazione critica sull’ inquadramento
legislativo riservato alle coppie di sesso diverso rispetto a quelle dello
stesso sesso, su cui l’autore di questa nota ha le sue convinzioni che però
esulano dall’argomento di oggi, mentre è importante far attenzione ai diversi
diritti derivanti dai due status differenti.
La condizione
oggettiva che dà origine alla possibilità di stabilire un’unione civile è che
le due persone che intendono accedervi siano dello stesso sesso. Lo stabilisce
il comma 4 dell’art. 1 (che poi è anche l’unico articolo) della citata legge.
L’unione civile, quando viene formalizzata di fronte ad un ufficiale di stato
civile e alla presenza di due testimoni, è costitutiva di uno status cui
conseguono rapporti, anche eventualmente patrimoniali, doveri e diritti; tra
questi ultimi - i diritti - il componente di un’unione civile può accedere,
alla stessa stregua di un coniuge, all’utilizzo sia dei permessi di cui alla
legge 104/92 sia del congedo straordinario di cui al d.lgs.151/2001.
Come si ricorderà i
permessi previsti dalla legge 104/92 consistono nella possibilità garantita di usufruire
di tre giorni mensili di permesso
retribuito per l’assistenza a coniuge, parenti ed affini che versino in
situazione di disabilità grave; quelli invece previsti dal d.lgs 151/2001
riguardano la possibilità di usufruire di un congedo straordinario retribuito per
prestare assistenza all’altro soggetto che si trovi in situazione d’impedimento,
sempre per disabilità grave. I due istituti di legge, pur rimanendo inalterati
nel loro spirito di fondo, sono stati oggetto di modifiche applicative più puntuali
alla luce della legge 76/2016 e d’interpretazioni estensive di contenuto e di persone
interessate da parte della Corte Costituzionale.
Quest’ultima infatti,
con la sentenza 213/2016 ha dichiarato l’incostituzionalità della Legge 104/92
nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a
fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con
handicap in situazione di gravità, in alternativa ad altri familiari aventi
diritto. La sentenza è del 5 luglio 2016 ed è significativo che sia stata
emessa quasi contemporaneamente all’approvazione della Legge 76, di cui
compartecipa lo spirito, segnatamente con riguardo ai commi 36 e seguenti
dell’art. 1 (unico) dedicati all’istituto, ormai tale, della convivenza.
La circolare dell’Inps
prende occasione da queste premesse per ricostruire in maniera sintetica i regimi
e le procedure attualmente in vigore, fermo restando che vi si illustrano le
procedure per ciò che i provvedimenti legislativi dicono, ma non ancora per
tutti i problemi che l’applicazione comporta. Per questi ultimi dobbiamo
rifarci alla cospicua documentazione già prodotta dallo stesso istituto con le
precedenti circolari 155/2010 e 32/2012 o immaginare possibili implementazioni
di carattere legislativo. Per intanto si parte dalla legge 104/92 e dal d.lgs
151/2001. Le possibilità accordate dai due provvedimenti in questione vengono
ora esaminate in relazione agli aggiornamenti legislativi e di giurisprudenza
costitutiva intervenuti nel diritto familiare o, come qualcuno potrebbe
preferire, parafamiliare. La novità è che i citati diritto e facoltà vengono
riconosciuti anche nell’ambito delle unioni civili e delle convivenze di fatto,
però con un trattamento diverso ed un’importante limitazione: il trattamento
diverso è che ai permessi per l’assistenza di cui alla legge 104/92 possono
accedere sia le parti dell’unione civile che i componenti delle convivenze di
fatto, mentre il congedo straordinario di cui al d.lgs 151/2001 è ammesso solo
per le unioni civili; la limitazione è che, sia per quanto riguarda la 104/92
che la 151/2001 l’assistenza può essere prestata solo a favore dell’altro
componente dell’unione civile o dell’altro convivente di fatto. Per la verità
la formulazione usata nella circolare appare abbastanza complicata e con il
rischio di essere poco comprensibile ai più senza un’adeguata assistenza, ma
cerchiamo di orientarci, sperando di evitare fraintendimenti, anche con il
soccorso della modulistica già tempestivamente presente sul sito dell’Inps.
Bisogna infatti chiarire
che cosa significa l’espressione a favore
dell’altro componente dell’unione civile o dell’altro convivente di fatto: significa che il beneficiario dei
permessi o del congedo straordinario concessi per l’accudimento è il componente
dell’unione civile o della convivenza solo se svolge il detto accudimento a
favore dell’altro componente dell’unione o della convivenza, a niente rilevando
la necessità, invece, di dover prestare la propria opera di assistenza a favore
dei parenti o affini dell’altro soggetto, per i quali la legge in vigore
esclude il riconoscimento dell’affinità traslata, come invece avviene per le
coppie regolarmente unite in matrimonio civile o con effetti civili. Il ragionamento
rischia di essere complicato e perciò può essere opportuno fare dei riferimenti
espliciti, ma prima bisogna tener presente la distinzione tra diritto attivo di
prestare assistenza a disabili in situazione di gravità e diritto passivo di
essere assistiti in caso di disabilità per parenti o affini entro il secondo o
terzo grado; distinzione necessaria perché determina situazioni che prevedono
trattamenti diversificati.
Primo riferimento
esplicito: in una convivenza in cui
entrambi i conviventi lavorano e sono senza figli il diritto a fruire dei
permessi di cui alla Legge 104/92 spetta singolarmente ad entrambi i conviventi
per l’eventuale reciproca assistenza; va da sé che spetta ad entrambi, sempre però
in coerenza al principio del referente unico[2],
se debbono prestare assistenza a figli in comune; se invece uno dei conviventi
ha un figlio avuto da una relazione diversa e come tale riconosciuta il diritto
a fruire dei permessi di cui alla legge 104/92 spetta al genitore e non anche
al convivente non genitore.
Secondo riferimento
esplicito: in una unione civile tra persone dello stesso sesso la legge afferma
che per quanto riguarda le disposizioni, ovunque ricorrano, nelle leggi come negli
atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e
nei contratti collettivi, che si riferiscono al matrimonio e dispongono in
relazione ai coniugi, le medesime disposizioni si applicano ad ognuna delle
parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Dobbiamo aggiungere:
in quanto applicabili, poiché nel regime matrimoniale viene riconosciuto il
diritto attivo all’assistenza dell’impedito, parente o affine del coniuge fino
al terzo grado, ciò che invece non è consentito nell’unione civile. La cosa per
la verità lascia alcune perplessità sul piano dei diritti, quanto meno in
relazione ai parenti di primo grado. È vero, come ammette anche la circolare,
che l’art. 78 del codice civile non viene richiamato espressamente nella legge
76/2016, ma è altrettanto vero che se lo spirito della legge era quello di arrivare
ad una completa equiparazione dei due istituti, ove compatibile, la completa
equiparazione in questo caso è negata e non si vedono le ragioni per un’assenza
di compatibilità.
Quanto detto riguarda l’ambito della legittimazione attiva.
In materia di legittimazione passiva la possibilità di un componente dell’unione civile o della
convivenza di fatto ad essere assistiti non si discosta da quanto previsto per
i soggetti che hanno contratto matrimonio. Più in particolare, agli effetti della
Legge 104/92, possono essere concessi permessi per l’assistenza di un
componente dell’unione civile e per il convivente di fatto gravemente disabile,
con le stesse modalità e nella stessa misura, al parente o all’affine fino al
secondo grado, estensibile al terzo nel caso in cui chi ha diritto a prestare
l’assistenza abbia compiuto 65 anni o sia mancante o sia esso stesso affetto da
patologia invalidante. Con lo stesso principio possono, nell’ordine, accedere
al congedo di cui alla Legge 151/2001, che riguarda solo le convivenze civili
tra persone dello stesso sesso, oltre la parte dell’unione civile, nell’ordine
e in caso d’impossibilità della parte, il padre o la madre del disabile, uno
dei figli conviventi della persona disabile, uno dei fratelli o sorelle
conviventi, un parente o affine entro il terzo grado convivente. La circolare
esamina questa possibilità con sufficiente approssimazione, ma per il dettaglio
resta utile la consultazione del sito dell’Inps.
Fatta questa sommaria
esposizione, resta da dire che la circolare non ha affrontato esplicitamente
alcuni aspetti già trattati in precedenza nelle citate circolari 155/2010 e
32/2012, che però si presumono richiamate, confermate e adattate all’evoluzione
legislativa del diritto familiare e parafamiliare. In particolare la già citata
figura del referente unico, i presupposti oggettivi per il riconoscimento dei
permessi, tra cui importante la circostanza che la persona in situazione di
disabilità grave non sia ricoverata a tempo pieno, salvo la richiesta da parte
dei sanitari della presenza di un genitore, le modalità per l’accertamento
delle condizioni, la già richiamata figura del referente unico, solo per citare
i capitoli più importanti.
Un’ultima
osservazione, anzi penultima. Non è da
ritenere che le soluzioni e gli approfondimenti finiscano qui. In sede di
questa circolare infatti alcune situazioni non sono affrontate, né potevano
esserlo non esistendo in merito un chiaro orientamento legislativo, anche se
l’esigenza di doverne tener conto potrà farsi viva a breve. Sto pensando ad esempio
a quanto potrà accadere alle unioni civili con figli, sia quelli eventualmente
naturali preesistenti all’unione e riferibili singolarmente a ciascuno dei
componenti, sia quelli per i quali si pervenga ad ottenere il riconoscimento a
favore di entrambi i membri dell’unione; senza contare che diverse coppie,
anche di personaggi in vista, adottano comportamenti che vanno al di là
dell’attuale stato di legge, con la conseguenza, magari secondaria, di forzare
gli attuali contenuti della legge stessa per poter stimolare il raggiungimento
di equilibri più avanzati.
L’ultima osservazione
è - ma è tecnica - che la circolare Inps riguarda i lavoratori dipendenti del
settore privato, ma c’è ragione di ritenere che analoghe disposizioni saranno
presto emanate, come già in passato, anche dal dipartimento funziona pubblica.
[1] L’argomento
non viene all’improvviso: in un precedente e ormai abbastanza datato articolo
su questa stessa rivista, che toccava il tema delle tutele ponevo il problema “se
non fosse il caso di cominciare a parlare, magari in attesa del de iure condito,
delle conseguenze riguardo al riconoscimento degli effetti civili delle unioni
di fatto, anche a prescindere dalla loro natura omo o eterosessuale, nella consapevolezza
che si tratta di situazioni presenti anche al di fuori della famiglia
tradizionale e non per questo cessano di produrre necessità e richiedere
interventi opportuni”.
[2] Il principio del referente
unico stabilito dalla legge 104/92 e successive modificazioni dispone che per l’assistenza alla stessa
persona in situazione di disabilità grave non possa essere riconosciuta a più
di un lavoratore dipendente la possibilità di fruire dei giorni di permesso
previsti; principio temperato nel caso
di genitori anche adottivi di figli con disabilità grave, ai quali viene
consentito di fruire dei permessi in maniera alternativa, ma sempre nei limiti
dei complessivi tre giorni mensili per soggetto disabile.
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