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venerdì 3 aprile 2015

Nucleare iraniano: l’accordo è fatto, ma le contraddizioni restano. Ora serve tanta politica

Normale che ci sia in giro soddisfazione per l’accordo intervenuto sul nucleare iraniano. Il primo a trarne vantaggio è Obama, soprattutto per quanto concerne la sua figura personale, che almeno nell’ultima parte del suo mandato consegue un risultato positivo in quella politica internazionale che in precedenza aveva registrato titubanze e indecisioni, se non proprio scelte sbagliate e relativi insuccessi.
Il successo più visibile però lo consegue l’Iran. In primo luogo la trattativa lo arricchisce di considerazione tanto da non poter essere più incluso nella sacca degli stati canaglia. Pur in presenza dell’acuirsi dello scontro ideologico-armato tra sciiti e sunniti, cresce inoltre la sua importanza nello scacchiere mediorientale, già rilevante per i legami con Assad, con le forze preponderanti in Libano e con quanto resta dello stato di Bagdad, dove la componente sciita sostiene il peso maggiore della lotta al califfato islamico. Anche se con la dovuta prudenza, oggi è possibile pensare che l’Iran abbia l’occasione per diventare un interlocutore nella politica di area, difficile da stabilizzare, semmai da contenere in livelli compatibili. In più oggi l’Iran, sul piano interno, può essere in grado di dare una risposta alla società civile, come si sa la più avanzata del mondo islamico, che anche in questa fase ha rappresentato la componente idealmente più impegnata per la ricerca e la maturazione di un accordo. L’abbattimento o l’allentamento delle sanzioni daranno respiro e favoriranno occasioni di crescita, nonostante permangano molte riserve su come comporre le relazioni incrociate tra il perdurante potere repressivo dei capi religiosi e la potenza economica di chi ha proliferato sull’economia autarchica da un lato, dall’altro invece un presidente moderato ed una società civile desiderosa di sviluppo e relazioni esterne.
E se da gran parte dell’opinione pubblica internazionale si tira un respiro di sollievo, non manca però chi considera tutti i limiti o anche i rischi potenziali o nascosti dell’operazione. In primo luogo ci s’interroga su quale sia il rapporto, se c’è, tra lo stato iraniano e una sorta di internazionale sciita. Infatti un processo di distensione nei confronti dell’Iran coincidente con l’accelerazione del conflitto interreligioso potrebbe avere come conseguenza un rovesciamento delle attuali alleanze di fatto - o almeno i rapporti amichevoli - tra gli USA, assieme alle potenze occidentali, e gli stati arabi sunniti, segnatamente Egitto ed Arabia Saudita che hanno rappresentato sinora, anche su un piano militare, una sorta di controassicurazione alle componenti arabe di matrice terroristica.
In secondo luogo molti settori dell’opinione pubblica internazionale non sono del tutto convinti dell’efficacia e della sicurezza dell’accordo, poiché si ritiene che la moratoria della capacità di arricchimento dell’uranio possa essere facilmente elusa o per lo meno che ce ne sia il rischio, con il che si tornerebbe da capo. La preoccupazione è maggiore ed anzi arriva ad aperto dissenso nel caso di Israele, il quale si ritiene paese da una sola bomba, nel senso che basta una bomba di media potenza per cancellarne interamente l’esistenza.
Ma il limite maggiore, non espresso ma immanente, sta nell’evidente divario della dimensione strategica degli interlocutori. In termini molto correnti, al tempo della guerra fredda accordi di diritto o di fatto passavano tra Stati Uniti ed Unione Sovietica e si reggevano sulla reale o semplicemente supposta parità di potenza e  di potenziale nucleare; ciò costituiva un’assicurazione reciproca se non sulla non proliferazione quanto meno sull’uso dell’armamento atomico. La medesima proporzione non esiste adesso tra i medesimi Stati Uniti ed i diversi paesi interessati ad una miniproliferazione. In altre parole, non esistendo i blocchi, anche in questo campo si fanno più difficili e laboriose le relazioni tra gli stati, perché si può sempre pensare che a turno qualcuno alzi il capo e ci provi ad inserirsi nel club nucleare. Al momento nessuno tra quelli che del club fanno parte ufficialmente oppure quelli di fatto, Israele tutto sommato compreso, ha interesse ad un uso sconsiderato, sia pure a livello di semplice minaccia, della dissuasione nucleare, ma quella logica folle che caratterizza in gran parte l’area mediorientale non può lasciarci completamente tranquilli ed a questo occorrerò prestare la massima attenzione.
Ultima notazione, un po’ di colore, però per trarne auspici: anche l’Italia nel suo piccolo può scrivere qualcuno sulla lavagna dei buoni: la nostra Mogherini infatti, come riferiscono le cronache, è stata lei con la sua squadra a coordinare e sostenere la fase concludente della trattativa, la più delicata e decisiva. Ed è lei stessa a riferire che i nodi politici erano molti e che tanti saranno ancora da affrontare e da sciogliere, sicuramente da qui a giugno per il perfezionamento dell’opera, ma anche dopo per la sua gestione. Perciò l’auspicio è che s’inauguri una fase politica ed una gestione altrettanto politica per la quale, visto il ruolo svolto nelle giornate conclusive, è da ritenere opportuno voglia candidarsi l’Europa.


Silla Cellino

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