Normale che ci sia in
giro soddisfazione per l’accordo intervenuto sul nucleare iraniano. Il primo a
trarne vantaggio è Obama, soprattutto per quanto concerne la sua figura personale,
che almeno nell’ultima parte del suo mandato consegue un risultato positivo in
quella politica internazionale che in precedenza aveva registrato titubanze e
indecisioni, se non proprio scelte sbagliate e relativi insuccessi.
Il successo più
visibile però lo consegue l’Iran. In primo luogo la trattativa lo arricchisce
di considerazione tanto da non poter essere più incluso nella sacca degli stati
canaglia. Pur in presenza dell’acuirsi dello scontro ideologico-armato tra
sciiti e sunniti, cresce inoltre la sua importanza nello scacchiere
mediorientale, già rilevante per i legami con Assad, con le forze preponderanti
in Libano e con quanto resta dello stato di Bagdad, dove la componente sciita
sostiene il peso maggiore della lotta al califfato islamico. Anche se con la
dovuta prudenza, oggi è possibile pensare che l’Iran abbia l’occasione per
diventare un interlocutore nella politica di area, difficile da stabilizzare, semmai
da contenere in livelli compatibili. In più oggi l’Iran, sul piano interno, può
essere in grado di dare una risposta alla società civile, come si sa la più
avanzata del mondo islamico, che anche in questa fase ha rappresentato la
componente idealmente più impegnata per la ricerca e la maturazione di un
accordo. L’abbattimento o l’allentamento delle sanzioni daranno respiro e
favoriranno occasioni di crescita, nonostante permangano molte riserve su come
comporre le relazioni incrociate tra il perdurante potere repressivo dei capi
religiosi e la potenza economica di chi ha proliferato sull’economia autarchica
da un lato, dall’altro invece un presidente moderato ed una società civile
desiderosa di sviluppo e relazioni esterne.
E se da gran parte
dell’opinione pubblica internazionale si tira un respiro di sollievo, non manca
però chi considera tutti i limiti o anche i rischi potenziali o nascosti dell’operazione.
In primo luogo ci s’interroga su quale sia il rapporto, se c’è, tra lo stato
iraniano e una sorta di internazionale sciita. Infatti un processo di
distensione nei confronti dell’Iran coincidente con l’accelerazione del
conflitto interreligioso potrebbe avere come conseguenza un rovesciamento delle
attuali alleanze di fatto - o almeno i rapporti amichevoli - tra gli USA,
assieme alle potenze occidentali, e gli stati arabi sunniti, segnatamente
Egitto ed Arabia Saudita che hanno rappresentato sinora, anche su un piano militare,
una sorta di controassicurazione alle componenti arabe di matrice terroristica.
In secondo luogo
molti settori dell’opinione pubblica internazionale non sono del tutto convinti
dell’efficacia e della sicurezza dell’accordo, poiché si ritiene che la moratoria
della capacità di arricchimento dell’uranio possa essere facilmente elusa o per
lo meno che ce ne sia il rischio, con il che si tornerebbe da capo. La
preoccupazione è maggiore ed anzi arriva ad aperto dissenso nel caso di
Israele, il quale si ritiene paese da una sola bomba, nel senso che basta una
bomba di media potenza per cancellarne interamente l’esistenza.
Ma il limite
maggiore, non espresso ma immanente, sta nell’evidente divario della dimensione
strategica degli interlocutori. In termini molto correnti, al tempo della
guerra fredda accordi di diritto o di fatto passavano tra Stati Uniti ed Unione
Sovietica e si reggevano sulla reale o semplicemente supposta parità di potenza
e di potenziale nucleare; ciò costituiva
un’assicurazione reciproca se non sulla non proliferazione quanto meno sull’uso
dell’armamento atomico. La medesima proporzione non esiste adesso tra i
medesimi Stati Uniti ed i diversi paesi interessati ad una miniproliferazione.
In altre parole, non esistendo i blocchi, anche in questo campo si fanno più
difficili e laboriose le relazioni tra gli stati, perché si può sempre pensare
che a turno qualcuno alzi il capo e ci provi ad inserirsi nel club nucleare. Al
momento nessuno tra quelli che del club fanno parte ufficialmente oppure quelli
di fatto, Israele tutto sommato compreso, ha interesse ad un uso sconsiderato,
sia pure a livello di semplice minaccia, della dissuasione nucleare, ma quella
logica folle che caratterizza in gran parte l’area mediorientale non può
lasciarci completamente tranquilli ed a questo occorrerò prestare la massima
attenzione.
Ultima notazione, un
po’ di colore, però per trarne auspici: anche l’Italia nel suo piccolo può
scrivere qualcuno sulla lavagna dei buoni: la nostra Mogherini infatti, come
riferiscono le cronache, è stata lei con la sua squadra a coordinare e
sostenere la fase concludente della trattativa, la più delicata e decisiva. Ed
è lei stessa a riferire che i nodi politici erano molti e che tanti saranno
ancora da affrontare e da sciogliere, sicuramente da qui a giugno per il
perfezionamento dell’opera, ma anche dopo per la sua gestione. Perciò l’auspicio
è che s’inauguri una fase politica ed una gestione altrettanto politica per la
quale, visto il ruolo svolto nelle giornate conclusive, è da ritenere opportuno
voglia candidarsi l’Europa.
Silla
Cellino
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