3.
Permessi retribuiti per assistenza a familiare con handicap
E’ un argomento che viene
abbastanza da lontano. L’art. 33, terzo comma della Legge 104/92 autorizzava
tre giorni di permesso al mese, coperti da contribuzione figurativa, per coloro
che assistevano persone con handicap in situazione di gravità, non ricoverate a
tempo pieno, parenti o affini entro il terzo grado e conviventi. Tale
disposizione, per effetto della Legge 183/10 ha subito modificazioni, nel senso
che è stato superata la condizione della convivenza, ma anche limitata la
relazione di parentela o affinità, portata dal terzo al secondo grado. Però se
primi o secondi gradi sono assenti oppure indisponibili, parenti ed affini del
terzo grado restano ugualmente autorizzati nel caso in cui i genitori o il
coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto il
sessantacinquesimo anno di età oppure siano anche loro affetti da patologie
invalidanti o deceduti oppure semplicemente assenti; con l’avvertenza però che
tale diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per
l’assistenza ad una persona in situazione di grave handicap.
Il quesito
degl’interpellanti, che peraltro aveva un ambito più circoscritto, richiede un
chiarimento circa le condizioni che consentano a parenti o affini di terzo
grado, dopo la novella, di poter prestare l’assistenza fruendo dei permessi
mensili coperti da contribuzione figurativa, se cioè si possa prescindere
dall’eventuale presenza nella famiglia dell’assistito di parenti e affini di
primo o secondo grado oppure basti provare che il coniuge e/o i genitori della persona da assistere in situazione di
handicap grave siano deceduti o mancanti ( assenza naturale o giuridica) oppure
siano affetti da patologia invalidante oppure ancora abbiano compiuto 65 anni
di età.
La risposta è quasi scontata, cioè quella di legge e il
Ministero la fornisce puntualmente: come già esposto, il godimento di permessi
per l’assistenza a persona in situazione di gravità è prioritariamente
riservato a parenti e affini entro il secondo grado; nel caso però in cui i
genitori [uno dei genitori, recitano le istruzioni Inps] o il coniuge della
persona da assistere si trovino nelle condizioni previste dal legislatore e già
precedentemente richiamate, l’eventuale assistenza fornita da parenti o affini
entro il terzo grado consente la fruizione dei previsti permessi. Aggiunge la
nota ministeriale che, poiché il legislatore adotta la congiunzioni disgiuntiva
“o”, non occorre che la situazione d’impedimento si verifichi
contemporaneamente per genitori o coniuge, ma anche per uno solo di questi
soggetti; tale circostanza peraltro era già stata rilevata nella circolare Inps
n. 155/2010.
Rimane da chiedersi se il
periodo in cui un parente o affine di terzo grado presta assistenza ed
usufruisce dei permessi debba rimanere costante oppure, pur perdurando il
riconoscimento del diritto di permesso retribuito ad un solo lavoratore, i
soggetti possano alternarsi. La risposta è negativa in quanto la circostanza
rientra nella prevista figura più generale del referente unico, con l’eccezione
dei genitori ai quali è consentito alternativamente di prendersi cura del
figlio in condizioni di disabilità. Il referente unico non è una figura di
legge, ma ne è implicitamente desunto; infatti l’art. 24 della Legge 183/2010
afferma che il diritto alla
fruizione dei tre giorni mensili di permesso “non può essere riconosciuto a più
di un lavoratore dipendente per l'assistenza alla stessa persona con handicap
in situazione di gravità”. E’ vero invece che, a mezzo d apposita istanza, il referente unico può
essere cambiato, anche in via temporanea.
Fermo restando che l’interpello in questione
si risolve quasi esclusivamente nella riconferma ed ulteriore precisazione di
concetti ormai noti e dibattuti, l’occasione è utile per riflettere su eventuali
successivi sviluppi de iure condendo, quanto meno
sulla loro attualità. Infatti la legge tutela questo particolare settore
dell’assistenza nell’ambito della famiglia di diritto come quella tradizionale.
Viene da domandarsi se non sia il caso di fornire argomenti di supporto al
dibattito in corso sul riconoscimento degli effetti civili delle unioni di
fatto, anche a prescindere dalla loro natura omo o eterosessuale, nella
consapevolezza che si tratta di situazioni presenti anche al di fuori della
famiglia tradizionale e non per questo cessano di produrre necessità e
richiedere interventi opportuni.
Silla Cellino [fine]
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