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lunedì 7 luglio 2014

Segue. Permessi retribuiti per assistenza a familiare con handicap

3. Permessi retribuiti per assistenza a familiare con handicap

E’ un argomento che viene abbastanza da lontano. L’art. 33, terzo comma della Legge 104/92 autorizzava tre giorni di permesso al mese, coperti da contribuzione figurativa, per coloro che assistevano persone con handicap in situazione di gravità, non ricoverate a tempo pieno, parenti o affini entro il terzo grado e conviventi. Tale disposizione, per effetto della Legge 183/10 ha subito modificazioni, nel senso che è stato superata la condizione della convivenza, ma anche limitata la relazione di parentela o affinità, portata dal terzo al secondo grado. Però se primi o secondi gradi sono assenti oppure indisponibili, parenti ed affini del terzo grado restano ugualmente autorizzati nel caso in cui i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto il sessantacinquesimo anno di età oppure siano anche loro affetti da patologie invalidanti o deceduti oppure semplicemente assenti; con l’avvertenza però che tale diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza ad una persona in situazione di grave handicap.

Il quesito degl’interpellanti, che peraltro aveva un ambito più circoscritto, richiede un chiarimento circa le condizioni che consentano a parenti o affini di terzo grado, dopo la novella, di poter prestare l’assistenza fruendo dei permessi mensili coperti da contribuzione figurativa, se cioè si possa prescindere dall’eventuale presenza nella famiglia dell’assistito di parenti e affini di primo o secondo grado oppure basti provare che il coniuge e/o i genitori della persona da assistere in situazione di handicap grave siano deceduti o mancanti ( assenza naturale o giuridica) oppure siano affetti da patologia invalidante oppure ancora abbiano compiuto 65 anni di età.

La risposta è quasi scontata, cioè quella di legge e il Ministero la fornisce puntualmente: come già esposto, il godimento di permessi per l’assistenza a persona in situazione di gravità è prioritariamente riservato a parenti e affini entro il secondo grado; nel caso però in cui i genitori [uno dei genitori, recitano le istruzioni Inps] o il coniuge della persona da assistere si trovino nelle condizioni previste dal legislatore e già precedentemente richiamate, l’eventuale assistenza fornita da parenti o affini entro il terzo grado consente la fruizione dei previsti permessi. Aggiunge la nota ministeriale che, poiché il legislatore adotta la congiunzioni disgiuntiva “o”, non occorre che la situazione d’impedimento si verifichi contemporaneamente per genitori o coniuge, ma anche per uno solo di questi soggetti; tale circostanza peraltro era già stata rilevata nella circolare Inps n. 155/2010.

Rimane da chiedersi se il periodo in cui un parente o affine di terzo grado presta assistenza ed usufruisce dei permessi debba rimanere costante oppure, pur perdurando il riconoscimento del diritto di permesso retribuito ad un solo lavoratore, i soggetti possano alternarsi. La risposta è negativa in quanto la circostanza rientra nella prevista figura più generale del referente unico, con l’eccezione dei genitori ai quali è consentito alternativamente di prendersi cura del figlio in condizioni di disabilità. Il referente unico non è una figura di legge, ma ne è implicitamente desunto; infatti l’art. 24 della Legge 183/2010 afferma che il diritto alla fruizione dei tre giorni mensili di permesso “non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l'assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità”. E’ vero invece che, a mezzo d  apposita istanza, il referente unico può essere cambiato, anche in via temporanea.


Fermo restando che l’interpello in questione si risolve quasi esclusivamente nella riconferma ed ulteriore precisazione di concetti ormai noti e dibattuti, l’occasione è utile per riflettere su eventuali successivi sviluppi de iure condendo, quanto meno sulla loro attualità. Infatti la legge tutela questo particolare settore dell’assistenza nell’ambito della famiglia di diritto come quella tradizionale. Viene da domandarsi se non sia il caso di fornire argomenti di supporto al dibattito in corso sul riconoscimento degli effetti civili delle unioni di fatto, anche a prescindere dalla loro natura omo o eterosessuale, nella consapevolezza che si tratta di situazioni presenti anche al di fuori della famiglia tradizionale e non per questo cessano di produrre necessità e richiedere interventi opportuni.

Silla Cellino [fine]

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