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sabato 5 aprile 2014

Né l’Ucraina né la Crimea sono una nuova fase della guerra fredda, però …


pubblicato su www.pensalibero.it il 6 aprile 2014


Scrive Federico Romero, concludendo il suo bello studio sulla Storia della guerra fredda, che se quell’epoca si è chiusa nel 1989 i lunghi riflessi delle sue luci e delle sue ombre tramontano tuttavia con grande lentezza e saranno tra noi ancora per un bel pezzo. Non sono  infatti mancate rappresentazioni da guerra fredda nel commentare la crisi ucraina, ma quella guerra fredda individuata storicamente ed a cui si riferisce Romero è finita ed era un’altra cosa. Finita perché il supporto principale o almeno ufficiale era un confronto ideologico ed era un’altra cosa perché si svolgeva tra due massime potenze in un mondo tendenzialmente bipolare. Del confronto ideologico – soprattutto di quel tipo di confronto ideologico - oggi mancano le basi, mentre le potenze non sono soltanto le stesse di prima ed il mondo non è più bipolare. E’ vero invece che continua a scorrere il tramonto lento di quelle ombre, non più come fattore primario di politica, ma come sfondo in una situazione geopolitica in cui, volente o nolente, l’Europa è solo uno dei diversi poli, contrassegnato peraltro da una geografia in movimento. E’ anche in questo quadro che va valutata la nuova politica della Russia e all’interno di questa la figura del suo massimo leader.

Apparentemente sembra di assistere a preludi di vecchie rappresentazioni: carri armati a Budapest o a Praga oppure tormentate vicende polacche, in realtà gli attori non sono più gli stessi né il presupposto politico dell’intervento può essere considerato sullo stesso piano. Allora si trattava di difendere l’equilibrio esistente sia sul piano ideologico che su quello strategico e militare, i due aspetti coesistevano e venivano valutati in egual misura, quasi come se uno fosse parte integrante dell’altro; e verosimilmente era così. Oggi invece la Russia è impegnata, sia pur con fasi alterne, a ripensare, anche con qualche strattone, presenza e ruolo in o verso l’Europa ed anche in un concerto internazionale più ampio. La sua azione è condizionata dall’essere prevalentemente potenza energetica. Di ciò Putin è evidentemente consapevole e sa che può influenzare politiche perché produce ed esporta energia, ma sa anche che può subire contraccolpi se il mercato dell’energia si differenzia. In una tale situazione gli stop and go sono praticamente inevitabili.

Ed è infatti questa una delle ragioni per cui la tensione tra Russia e Ucraina non è degenerata in un aperto conflitto. Sì, è vero, c’è stata la grana Crimea, che Europa ed Usa hanno passato di fatto sotto silenzio, quasi riconoscendo a Putin il diritto di gestire in maniera autonoma la tradizionale politica russa verso il Mar Nero ed adiacenti interessi. Tra tali interessi infatti la Crimea non è vitale né per gli Usa né per l’Europa, ma il via libera che essi hanno lasciato costituisce una grossa concessione a Putin, soprattutto in considerazione del fatto che sono stati trasgrediti la lettera e lo spirito del memorandum di Budapest del 1994, in cui si garantiva sicurezza all’Ucraina in cambio dell’abbandono di duemila testate nucleari. Del resto la stessa attuale leadership ucraina, per quanto indefinita o provvisoria che possa essere, ammette questa circostanza proprio con le parole dell’ambasciatore in Italia, il quale afferma testualmente che la Crimea è il prezzo per il desiderio dell’Ucraina di non stare con la Russia.

Ma è anche la ragione per cui – e la cosa deve in qualche modo far pensare gli alleati occidentali e soprattutto l’Europa - questi avvenimenti accadono in concomitanza e quasi in sinergia con un’offensiva sotterranea che la Russia sta avviando nei confronti della stessa Unione europea o, meglio, delle sue debolezze, se è vero che le attenzioni degli ambienti diplomatici di Mosca, ma anche quelle degli ambienti culturali di diretta derivazione governativa [si vedano in questo senso anche la radio ed il sito, semiufficiali, in italiano La voce della Russia]  sono rivolte a creare dei cuscinetti etnici o pseudo tali a frapporsi tra Ucraina ed Europa. In  più dimostrano un interesse non solo etnografico, ma manifestamente politico e in senso divisivo, per quanto succede nelle propaggini orientali dell’Unione, ossia di quei paesi forse integrati in maniera troppo affrettata, al cui interno non a caso si sviluppano maggiormente fenomeni nazionalisti, potenzialmente centrifughi ed anche di aperta contestazione all’esperienza europea.

E allora occorre tornare a quanto diceva Romero: più che delle luci però siamo in presenza delle ombre della guerra fredda, di quella sezione particolare della guerra fredda che si svolgeva in Europa, sia pur temperata da momenti di ost-politik. Da queste ombre l’Europa come realtà istituzionale non sembra sia riuscita del tutto ad affrancarsi, se è vero che al suo interno ricompaiono rivendicazioni, non più nostalgiche verso un passato anche dimenticato, ma che contestano in maniera aperta o sotterranea le scelte fatte dall’Unione europea in una logica che dall’esterno appare di potenza senza che al fondo ci sia una politica.

Silla Cellino




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