Bene,
il motivo ce lo hanno dato subito e quindi sulla questione del rapporto di lavoro
in presenza di minori, come promesso, brevemente ci riaggiorniamo. Dopo i chiarimenti
del Ministero della Giustizia, complicati e faticosi, escono ora quelli del Ministero
del Lavoro e non poteva essere che così, visto che comunque anche di problemi
di lavoro si tratta. In una circolare emessa dalla Direzione generale per
l’attività ispettiva si affrontano infatti alcuni punti che in qualche caso
servono da integrazione ai precedenti, in qualche altro integrano, ma anche
parzialmente divergono sugli orientamenti.
In
primo luogo viene confermato che la norma non è retroattiva e pertanto
l’obbligo in questione riguarda tutti i rapporti di lavoro instaurati dopo il 6
aprile e non quelli già in essere precedentemente. L’affermazione è categorica
e quindi non vale a sciogliere le perplessità che molti commentatori avevano
espresso su questa interpretazione e su una situazione che, di fatto, si
configura come una rinuncia ad adottare delle precauzioni per il pregresso. Si
rimanda perciò a perplessità o motivi di disaccordo, non risolti, già espressi
in precedenza, ma non si può fare a meno di osservare che qui non si tratta di
legiferare su problematiche insorte di punto in bianco, ma su situazioni
critiche che presentano caratteri di continuità dal passato a possibili futuri
e quindi l’aspetto precauzionale deve avere caratteri generali, anche per
garantirsi da conseguenze di un passato insufficientemente considerato. E’ vero
che sul punto il contrasto, o forse semplicemente una disfunzione, è nella
direttiva europea, tra le motivazioni di fondo del provvedimento e la sua
pratica esecuzione. Vi si adotta infatti una formulazione prudente, dove nel
primo comma dell’art. 10 si ravvisa la necessità di misure necessarie per
interdire alla persona fisica condannata per i reati in questione lo
svolgimento di attività professionali comportanti contatti diretti e regolari
con minori, senza indicazione temporale, ma nel secondo successivo comma il diritto
per il datore di lavoro di essere informato su eventuali condanne riportate è
stabilito al momento dell’assunzione. Ciò non toglie che, nell’interesse
proprio dei minori oggetto della tutela, la legge italiana poteva andare anche
oltre.
Segue
poi una presa di posizione che precisa, a nostro avviso in maniera opportuna,
almeno per quanto riguarda la prima parte, qual è il tipo di lavoro che deve
essere considerato ai fini della norma. Facendo leva sulla dizione impiego al lavoro, piuttosto che su
quella di datore di lavoro, ambedue
utilizzate nelle note del Ministero della Giustizia, il Ministero del Lavoro è
dell’opinione che la corretta applicazione non possa essere limitata al solo
rapporto di lavoro dipendente, ma che debba essere estesa ad altre forme
contrattuali, come la collaborazione coordinata e continuativa, anche a
progetto o l’associazione in partecipazione, ma – è lecito aggiungere – anche
le forme di collaborazione a partita Iva, abbastanza frequenti nell’istruzione
privata.
Da
queste figure il Ministero del lavoro esclude il rapporto di volontariato,
considerandolo diverso dal rapporto di lavoro in senso stretto. Personalmente
rimango di parere contrario, anche se il coinvolgimento del volontariato
nell’ambito di applicazione della norma può dispiacere o portar nocumento a
tante organizzazioni benemerite. Infatti le prestazioni fornite, soprattutto
riguardate dalla parte dei rischi insiti, anche nell’attività del volontariato
non possono essere considerate dissimili da quelle prestate da lavoratori
dipendenti o assimilati e pertanto non si comprende perché tutti optino per una
non considerazione dell’attività dei volontari a questo riguardo. Giova a
questo proposito tornare alla direttiva europea, dove si parla sì di datori di
lavoro, intesi probabilmente in un significato più generale, ma anche di
attività volontarie organizzate che comportano contatti diretti o regolari con
minori. Il rischio che la norma adottata in Italia non sia conforme, su questo
punto, alla direttiva permane.
Potrebbe invece
sembrare riduttiva, ma in realtà non lo è, l’interpretazione che il Ministero
fornisce su quali debbano essere le tipologie di personale interessato dalla disposizione.
Non solo infatti si escludono dall’obbligo i dirigenti, i responsabili, i preposti
e comunque tutti quelli che possono avere un contatto solo occasionale con i
destinatari della tutela, ma si ritiene che debbano essere presi in
considerazione solo coloro che intervengono per attività di natura
istituzionale o anche collegata, caratterizzate da contatti diretti con una
platea di minori e quindi da limitare alle attività scolastiche,
parascolastiche o comunque socio-educative in genere, ivi comprese quelle
sportive o turistiche. Non è riduttiva, anzi si avvicina molto alla realtà se
in questo tipo di attività scolastica o socio-educativa viene ricompreso
l’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e
formazione.
Infine il Ministero
ritiene di dover escludere dal campo applicativo i datori di lavoro domestico,
nel caso si tratti di utilizzare baby-sitter o altro personale che possa stare
a contatto con i minori, partendo anche dal presupposto che per queste attività
i genitori possono predisporre efficaci cautele. L’augurio è che la ventata
d’ottimismo che su questo punto il Ministero manifesta sia fondata su solide
basi.
Silla Cellino
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