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martedì 15 aprile 2014

Contro gli abusi sessuali sui minori. Aggiornamenti



Bene, il motivo ce lo hanno dato subito e quindi sulla questione del rapporto di lavoro in presenza di minori, come promesso, brevemente ci riaggiorniamo. Dopo i chiarimenti del Ministero della Giustizia, complicati e faticosi, escono ora quelli del Ministero del Lavoro e non poteva essere che così, visto che comunque anche di problemi di lavoro si tratta. In una circolare emessa dalla Direzione generale per l’attività ispettiva si affrontano infatti alcuni punti che in qualche caso servono da integrazione ai precedenti, in qualche altro integrano, ma anche parzialmente divergono sugli orientamenti.

In primo luogo viene confermato che la norma non è retroattiva e pertanto l’obbligo in questione riguarda tutti i rapporti di lavoro instaurati dopo il 6 aprile e non quelli già in essere precedentemente. L’affermazione è categorica e quindi non vale a sciogliere le perplessità che molti commentatori avevano espresso su questa interpretazione e su una situazione che, di fatto, si configura come una rinuncia ad adottare delle precauzioni per il pregresso. Si rimanda perciò a perplessità o motivi di disaccordo, non risolti, già espressi in precedenza, ma non si può fare a meno di osservare che qui non si tratta di legiferare su problematiche insorte di punto in bianco, ma su situazioni critiche che presentano caratteri di continuità dal passato a possibili futuri e quindi l’aspetto precauzionale deve avere caratteri generali, anche per garantirsi da conseguenze di un passato insufficientemente considerato. E’ vero che sul punto il contrasto, o forse semplicemente una disfunzione, è nella direttiva europea, tra le motivazioni di fondo del provvedimento e la sua pratica esecuzione. Vi si adotta infatti una formulazione prudente, dove nel primo comma dell’art. 10 si ravvisa la necessità di misure necessarie per interdire alla persona fisica condannata per i reati in questione lo svolgimento di attività professionali comportanti contatti diretti e regolari con minori, senza indicazione temporale, ma nel secondo successivo comma il diritto per il datore di lavoro di essere informato su eventuali condanne riportate è stabilito al momento dell’assunzione. Ciò non toglie che, nell’interesse proprio dei minori oggetto della tutela, la legge italiana poteva andare anche oltre.

Segue poi una presa di posizione che precisa, a nostro avviso in maniera opportuna, almeno per quanto riguarda la prima parte, qual è il tipo di lavoro che deve essere considerato ai fini della norma. Facendo leva sulla dizione impiego al lavoro, piuttosto che su quella di datore di lavoro, ambedue utilizzate nelle note del Ministero della Giustizia, il Ministero del Lavoro è dell’opinione che la corretta applicazione non possa essere limitata al solo rapporto di lavoro dipendente, ma che debba essere estesa ad altre forme contrattuali, come la collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto o l’associazione in partecipazione, ma – è lecito aggiungere – anche le forme di collaborazione a partita Iva, abbastanza frequenti nell’istruzione privata.

Da queste figure il Ministero del lavoro esclude il rapporto di volontariato, considerandolo diverso dal rapporto di lavoro in senso stretto. Personalmente rimango di parere contrario, anche se il coinvolgimento del volontariato nell’ambito di applicazione della norma può dispiacere o portar nocumento a tante organizzazioni benemerite. Infatti le prestazioni fornite, soprattutto riguardate dalla parte dei rischi insiti, anche nell’attività del volontariato non possono essere considerate dissimili da quelle prestate da lavoratori dipendenti o assimilati e pertanto non si comprende perché tutti optino per una non considerazione dell’attività dei volontari a questo riguardo. Giova a questo proposito tornare alla direttiva europea, dove si parla sì di datori di lavoro, intesi probabilmente in un significato più generale, ma anche di attività volontarie organizzate che comportano contatti diretti o regolari con minori. Il rischio che la norma adottata in Italia non sia conforme, su questo punto, alla direttiva permane.

Potrebbe invece sembrare riduttiva, ma in realtà non lo è, l’interpretazione che il Ministero fornisce su quali debbano essere le tipologie di personale interessato dalla disposizione. Non solo infatti si escludono dall’obbligo i dirigenti, i responsabili, i preposti e comunque tutti quelli che possono avere un contatto solo occasionale con i destinatari della tutela, ma si ritiene che debbano essere presi in considerazione solo coloro che intervengono per attività di natura istituzionale o anche collegata, caratterizzate da contatti diretti con una platea di minori e quindi da limitare alle attività scolastiche, parascolastiche o comunque socio-educative in genere, ivi comprese quelle sportive o turistiche. Non è riduttiva, anzi si avvicina molto alla realtà se in questo tipo di attività scolastica o socio-educativa viene ricompreso l’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione.

Infine il Ministero ritiene di dover escludere dal campo applicativo i datori di lavoro domestico, nel caso si tratti di utilizzare baby-sitter o altro personale che possa stare a contatto con i minori, partendo anche dal presupposto che per queste attività i genitori possono predisporre efficaci cautele. L’augurio è che la ventata d’ottimismo che su questo punto il Ministero manifesta sia fondata su solide basi.


Silla Cellino


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