Dalla riforma
Fornero alla Legge di stabilità 2014,
sempre aspettando
che arrivino nuove leggi e cambino tutto
Dalla riforma
Fornero alla Legge di stabilità 2014,
sempre aspettando
che arrivino nuove leggi e cambino tutto
pubblicato sulla rivista "Consulenza online", ed. Buffetti,
n. 7 del 10 febbraio 2014
n. 7 del 10 febbraio 2014
Non si può escludere che la
produzione legislativa in materia di lavoro ogni tanto possa avere in sé
qualche impronta di creatività. Si potrebbe dire anzi che è il caso di augurarselo,
anche in vista delle prossime annunciate novità sulle quali in sede politica si
sta dibattendo. Nel senso che l’individuazione di figure o l’adozione di
istituti fanno parte di un processo elaborativo che, per le mutevoli condizioni
in cui si svolge il lavoro, richiede capacità di adattamento spesso
diversificate e che via via possono superare o accompagnano quelle
precedentemente individuate ed adottate. E’ il caso, per ora, della progressiva
crescita d’interesse per i fondi bilaterali di solidarietà, già presenti da
tempo nel nostro panorama lavoristico, ma che hanno trovato piena e non più
parziale sistemazione legislativa, ovvero non solo contrattuale, con la riforma
Fornero. Ora anche la legge di stabilità interviene a dettare nuove
disposizioni in materia o a modificarne, ma di questo vedremo in seguito.
Preistoria
e storia degli accordi bilaterali.
Non che tali fondi non fossero
già presenti nel nostro ordinamento e che la cornice che li consentiva non
fosse prevista in qualche caso per legge, ma si trattava d’interventi di carattere
generale, a cui però hanno potuto dar seguito solo alcune particolari categorie
e settori produttivi a bassa conflittualità e sufficiente disponibilità di
risorse; peraltro la legge Fornero ne ha stabilito un iter di esaurimento a
partire dal 1° gennaio 2014, cioè proprio dall’inizio di quest’anno. L’art. 2,
comma 28 della Legge 662/96, ossia la finanziaria ’97, prevedeva che, in attesa
della riforma organica degli ammortizzatori sociali – solito slogan di legge
che ora la Riforma Fornero ha avuto se non altro il merito di rendere obsoleto
- potessero essere emanati regolamenti che definissero “in via sperimentale
misure per il perseguimento di politiche attive
di sostegno del reddito e dell'occupazione nell'ambito dei processi di
ristrutturazione aziendali e per fronteggiare situazioni di crisi di enti ed
aziende pubblici e privati erogatori di servizi di pubblica utilità, nonché
delle categorie e settori d’impresa sprovvisti del sistema di ammortizzatori
sociali”. La legge dava la possibilità di costituire all’uopo appositi fondi,
finanziati mediante un contributo sulla retribuzione non inferiore allo 0,50
per cento ed eventuale partecipazione dei lavoratori al finanziamento con una
quota non superiore al 25 per cento del contributo. I fondi affluiscono
all’Inps e da questo vengono gestiti con il concorso delle parti sociali e sono
ancora in esercizio; antesignane sono state le parti del rapporto bancario con
i fondi Vocred e Vocoop, seguite poi dagli esattoriali, dai monopoli di stato e
dai postelegrafonici delle Poste Italiane. Non si poteva in questo caso parlare
di bilateralità, in quanto la gestione era tout court affidata all’Inps senza
l’intervento dei due attori contrattuali, né era disposta come obbligatoria, ma
solo come accordo contrattuale, la partecipazione al finanziamento da parte dei
lavoratori, intesi nel loro complesso.
La bilateralità invece, questa volta come assetto
istituzionale dei rapporti tra le parti, ha poi conosciuto una stagione di
crescita e sviluppo per effetto della contrattazione collettiva ed in virtù di
una legislazione promozionale che attribuiva in prima battuta particolari
benefici, agevolazioni o semplificazioni di gestione per le aziende aderenti
agli enti bilaterali, in particolar modo riguardo alla gestione di taluni
obblighi relativi o connessi al lavoro dipendente. Può essere citata in
proposito la possibilità di rilascio del Durc, dietro apposita convenzione con
Inps e Inail, da parte delle Casse edili, ma anche gestioni specifiche
richieste per obblighi di legge, soprattutto in materia di salute e sicurezza
sul lavoro o di formazione; anzi, in tema di formazione, anche in esperienze comparabili
e comparate con analoghi istituti in altre nazioni europee, particolarmente in
Francia. Il momento di decollo della bilateralità si poi è avviato con il
d.lgs. 276/2003, provvedimento che, nel suo impianto e successive
modificazioni, ancora regola il mercato del lavoro: agli enti bilaterali,
definiti nell’art. 2, lettera h, venivano riconosciute alcune particolari funzioni
nel campo dei rapporti tra datori di lavoro e fornitori di prestazioni lavorative,
sia dipendenti che autonome; in particolare competenze per quanto riguarda la
certificazione dei contratti di lavoro, la possibilità di esercitare l’attività
d’intermediazione tra domanda ed offerta di lavoro, lo svolgimento di un ruolo
nei piani formativi individuali per l’apprendistato. Ma, per quanto riguarda
più da vicino l’argomento di questa nota, risulta importante e significativa la
previsione contenuta nell’art. 12 che dispone, però limitatamente ai lavoratori
somministrati, la costituzione di un fondo per la formazione e l’integrazione
del reddito su base bilaterale, costituito anche all’interno dell’ente bilaterale
di riferimento. Inoltre esperienze settoriali su questo argomento, sia pur
parziali e/o di completamento, si sono avute per quanto riguarda ammortizzatori
sociali nel comparto artigiano di cui alla Legge 80/2005, di conversione del DL
35/2005, oppure anche quanto previsto, sempre come completamento, dalla Legge
2/2009, di conversione del DL 185/2008.
Con la Fornero una
nuova stagione per la bilateralità.
Finora abbiamo accennato a provvedimenti ed
accordi già in vigore o in uso da diverso tempo. Più di recente la legge
Fornero è intervenuta con l’intento di ridisegnare nel loro complesso gli
ammortizzatori sociali: per i settori di lavoro già tutelati dai tradizionali
istituti della Cassa integrazione ordinaria e straordinaria e dall’indennità di
mobilità, si è trattato di unificare questi istituti nel complesso dell’AspI;
in aggiunta - e come naturale completamento - si è provveduto ad individuare un
nuovo strumento, quello dei fondi di solidarietà bilaterale, rivolti invece
alla platea dei lavoratori non tutelati o diversamente tutelati, nonché ai
destinatari degli ammortizzatori sociali in deroga. Quest’ultima categoria,
relativa ad un complesso di istituti anche variamente gestiti, per una parte
costituiva una sorta di una legislazione provvisoria, se non proprio
d’emergenza in quanto misure anticrisi e con il presupposto che la crisi,
ancorché non definibile riguardo alla durata, fosse di natura transitoria; per
l’altra era diretta a garantire maggiori certezze di tutela in costanza di
rapporto di lavoro per una platea più ampia di lavoratori, che ricomprendesse
sia i comparti sia le figure comunque esclusi dalla cassa integrazione
ordinaria o straordinaria.
La Legge
Fornero si è posta il proposito di superare questo tipo di legislazione provvisoria
e d’emergenza; ed ha tentato un approccio organico, puntando ad un allargamento
della platea di beneficiari o, meglio, di aventi diritto ed evitando il ricorso
a misure straordinarie, che poi si sono sempre risolte in spese straordinarie a
carico della fiscalità generale, ma per le quali è accaduto anche di non
trovare copertura. Sono note infatti le difficoltà che, specie per l’ultimo periodo,
sono state incontrate per il finanziamento degli ammortizzatori sociali in
deroga. La novità è perciò che l’obiettivo si perfeziona tramite accordi
collettivi tra organizzazioni sindacali ed imprenditoriali che istituiscono
fondi bilaterali di solidarietà. Meno novità è che, sia pur settorialmente, per
effetto esclusivo della contrattazione sindacale e quindi non per legge, questo
mini ammortizzatore sociale era già presente per alcune delimitate esperienze,
ma con buona funzionalità.
I nuovi fondi di
solidarietà
a) gli obbligatori. I fondi di solidarietà individuati dalla Legge
Fornero sono di tre tipi, obbligatori, alternativi e residuali. Non facciamoci
trarre in inganno dalla definizione ‘residuali’, perché ciò non significa
automaticamente che siano i meno importanti, anzi, come vedremo, saranno quelli
su cui, di fatto, dovrà essere rivolta la maggior attenzione e su cui hanno
inciso anche le recenti modifiche apportate dalla legge di stabilità per il
2014. Quelli del primo tipo, obbligatori, si rivolgono alle
imprese con più di 15 addetti per i settori non coperti dalla normativa in
materia di integrazione salariale ed hanno la funzione di assicurare ai
lavoratori una tutela in costanza di rapporto di lavoro, ma possono anche
estendere questa tutela, in forma integrativa, alla più generale assicurazione
sociale per l’impiego AspI; sono finanziati con contributi a carico del datore
di lavoro per due terzi e del lavoratore per un terzo. Presso l’Inps, a mezzo
decreti non regolamentari del Ministro del lavoro, vengono istituiti appositi
fondi per la gestione di tali contributi; in ciascun decreto istitutivo del
fondo sono definite anche le aliquote della contribuzione da ripartirsi tra
datori di lavoro e lavoratori nella proporzione sopra indicata. Come detto, i
fondi hanno funzione essenziale di assicurare una tutela al lavoratore in caso
di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, ma in costanza di rapporto
di lavoro. In aggiunta a ciò viene stabilita per i fondi la possibilità di
fornire tutele in caso di perdita del posto di lavoro, prevedere assegni
straordinari per il sostegno al reddito in occasione di procedure di esodo,
contribuire al finanziamento di programmi formativi di riconversione o
riqualificazione professionale.
b) gli alternativi. Rivestono invece carattere alternativo quei fondi,
non obbligatori per legge, che possono essere stipulati nelle aziende con un
numero di dipendenti inferiore a 16 ed operanti in quei settori,
prevalentemente dell’artigianato o del commercio, nei quali è già esistente un
sistema di bilateralità attivo e consolidato. In tal caso le parti sociali
hanno la possibilità di adeguare le fonti istitutive dei rispettivi fondi alle
finalità caratteristiche dei fondi obbligatori, con un’aliquota di
contribuzione ordinaria che non deve essere inferiore allo 0,20%. Spetta agli
organi di gestione dei fondi stabilire l’aliquota di contribuzione nel caso sia
necessario fissarla ad un valore superiore allo 0,20%, determinare le tipologie
di prestazioni e tutto quanto è necessario per una gestione dei fondi stessi
corretta ed efficace.
c) i residuali. La legge prevede anche l’eventualità che per i
settori in cui debbono stabilirsi fondi obbligatori, nel caso in cui le parti
non provvedano o non abbiano provveduto entro sei mesi dall’entrata in vigore
della legge, termine poi prorogato al 31 marzo 2013, e successivamente al 31
ottobre 2013, venga costituito con decreto del Ministero del lavoro, di
concerto con il Ministero dell’economia, un fondo di solidarietà residuale
con decorrenza dal 1° gennaio 2014, a cui contribuiscono i datori di lavoro dei
settori individuati. Ma anche il termine del 31 ottobre non è stato rispettato
se non per casi limitati, né sono state avviate le procedure per la
costituzione del fondo residuale, venendosi a determinare una sorta di vacatio
operativa, il che costituisce anche conferma di una non insolita, in Italia,
divergenza tra la qualità della norma e l’efficacia del suo cammino esecutivo.
Un esempio di accordo
raggiunto.
Vedremo più avanti le disposizioni adottate in
proposito dalla legge di stabilità 2014, ma prima può essere utile fare qualche
breve considerazione, soprattutto di natura esemplificativa, sulle esperienze
che fin qui si sono svolte e su alcuni accordi intervenuti, uno per tutti il
fondo di solidarietà per le aziende del trasporto pubblico. E’ significativa infatti
la circostanza che proprio il settore del trasporto abbia valutato l’importanza
della sottoscrizione di un accordo di categoria che evitasse un salto nel buio
del fondo residuale, soprattutto in considerazione della crisi generale di
questo settore e quindi della necessità di una politica previsionale specifica
e misurata sulle condizioni del settore medesimo, ma la stessa circostanza è
anche singolare perché il comparto del trasporto pubblico attende da anni il
rinnovo del contratto nazionale di lavoro ed ancora non si scorgono segnali
incoraggianti in proposito. Una delle caratteristiche salienti di questo accordo
è che sul piano delle prestazioni si pone assolutamente in linea con la
previsione massima legislativa, garantendo un assegno ordinario ai lavoratori
in regime di sospensione totale o parziale dal lavoro, ma in costanza di
rapporto, un assegno integrativo dell’AspI per i lavoratori licenziati, un
assegno straordinario di accompagnamento per coloro che hanno titolo al
pensionamento anticipato ed infine il finanziamento degli interventi formativi
di riconversione o riqualificazione professionale. Da considerare inoltre che
all’accordo possono aderire, però su base volontaria, anche le aziende del settore
con un numero di dipendenti inferiore a sedici, con ciò realizzando condizioni
di categoria unificanti tra la tipologia obbligatoria e quella alternativa.
Le ultime modifiche
con la legge di stabilità 2014.
Quanto ad altri settori o comparti, si è già
accennato allo scarso accoglimento tra le categorie dell’iniziativa
legislativa, il che ha sollevato tra gli operatori del diritto del lavoro anche
dubbi o incertezze circa la perentorietà o l’ordinatorietà dei termini
temporali fissati, ma a tutto ciò hanno posto rimedio alcune importanti
modifiche apportate al testo in occasione dell’ultima legge di stabilità
recentemente approvata.
In particolare i termini temporali per la
costituzione dei fondi sono stati aboliti. Di conseguenza, per tutti i settori
e le tipologie di attività non coperti dalla normativa in materia
d’integrazione salariale, che non abbiano stipulato gli accordi collettivi
previsti per i fondi di solidarietà bilaterale obbligatori, resta in vigore la
previsione del loro inserimento nel fondo residuale. Tuttavia, diversamente
dalla prima formulazione, è stata salvaguardata la possibilità di costituire il
fondo specifico in qualsiasi momento e ciò comporta che fino al momento di
costituzione del fondo vige il regime del fondo residuale, ossia una
contribuzione di finanziamento pari allo 0,50%,salvo la possibilità di istituire
eventuali addizionali, di cui due terzi a carico del datore di lavoro ed un
terzo a carico del lavoratore. E’ prevista anche una fase transitoria, in base
alla quale, se alla data del 1° gennaio 2014 sono in corso procedure relative
alla costituzione di fondi alternativi di solidarietà bilaterale, il suddetto
obbligo di contribuzione – ma anche le prestazioni previste - è sospeso fino al
31 marzo 2014, a condizione però che la procedura venga completata per quella
data; in caso contrario l’obbligo viene ripristinato con effetto retroattivo.
Diversamente, per tutti i fondi che si costituiranno, sempre nel settore delle aziende
con più di 15 dipendenti, in relazione a settori per i quali esiste già una
copertura del fondo residuale, i contributi già versati, sempre nella medesima
misura dello 0,50%, restano acquisiti al fondo residuale, eventualmente
rimanendo i datori di lavoro obbligati ad assicurare la copertura delle prestazioni
già deliberate. La legge non lo dice espressamente, ma è intuitivo che la
disposizione vale per i fondi obbligatori di cui si inizi la procedura per la
costituzione dopo la data del 1° gennaio 2014.
Infine un accenno ad una disposizione che non è
passata inosservata, anzi è stata da tutti puntualmente registrata, ma che, ad
una prima lettura, è apparsa piuttosto misteriosa e che mi pare non sia stata
ancora compiutamente inserita in una logica generale delle correzioni apportate
in sede di legge di stabilità: l’impressione è che si tratti di un aggiustamento
di carattere tecnico. Il riferimento è all’inversione di rotta attuata riguardo
alla durata delle prestazioni del fondo di solidarietà residuale, che ora viene
stabilito per tutti i fondi di solidarietà, compreso appunto quello residuale, per
una durata non inferiore ad un ottavo delle ore complessivamente lavorabili da
computare in un biennio mobile, mentre la precedente lettura della legge
stabiliva che per i residuali tale durata dovesse essere non superiore a detto
limite. Si trattava di un evidente errore di redazione della legge, che però ha
una fase precedente che vale la pena di essere ricordata, con l’avvertenza che
nell’art. 3 della Legge Fornero il comma 20 si riferisce ai fondi residuali,
mentre il comma 31 fa riferimento ai fondi di cui al comma 4 che cita i
residuali solo per un rinvio ai commi 19 e seguenti: comunque per tutte le
tipologie il testo originario della legge prevedeva un limite non inferiore.
Successivamente in una risposta in seguito ad un interpello il Ministero del
lavoro si dichiarava di parere diverso alla legge, affermando che quel rigido
tetto era di fatto in contrasto con la finalità del legislatore di garantire
adeguate forme di sostegno al reddito; parere a cui la legge si è adeguata in
sede di stabilità 2013, ma solo modificando il comma 31 e non il 20. Da qui il
tutto.
Come già detto all’inizio, la materia è in
continua evoluzione, anzi si prospettano programmi di completa ristrutturazione
di tutto il comparto legislativo in tema lavoro, anche se al momento siamo
ancora a livello di dibattito all’interno delle forze politiche con aggiunta di
commenti da parte degli esperti del settore, per cui è possibile anche che
l’intero impianto che con le attuali modifiche è stato portato a sufficiente
compimento venga stravolto. Ma il compito che riguarda noi cronisti della
vicenda lavoro è anche quello di fare il punto sullo stato attuale, a beneficio
di chi trae interesse nella materia. E su questo, al momento, facciamo stop.
Silla Cellino
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