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giovedì 9 gennaio 2014

I fondi bilaterali di solidarietà


Dalla riforma Fornero alla Legge di stabilità 2014,
sempre aspettando che arrivino nuove leggi e cambino tutto


pubblicato sulla rivista "Consulenza online", ed. Buffetti,
 n. 7 del 10 febbraio 2014

Non si può escludere che la produzione legislativa in materia di lavoro ogni tanto possa avere in sé qualche impronta di creatività. Si potrebbe dire anzi che è il caso di augurarselo, anche in vista delle prossime annunciate novità sulle quali in sede politica si sta dibattendo. Nel senso che l’individuazione di figure o l’adozione di istituti fanno parte di un processo elaborativo che, per le mutevoli condizioni in cui si svolge il lavoro, richiede capacità di adattamento spesso diversificate e che via via possono superare o accompagnano quelle precedentemente individuate ed adottate. E’ il caso, per ora, della progressiva crescita d’interesse per i fondi bilaterali di solidarietà, già presenti da tempo nel nostro panorama lavoristico, ma che hanno trovato piena e non più parziale sistemazione legislativa, ovvero non solo contrattuale, con la riforma Fornero. Ora anche la legge di stabilità interviene a dettare nuove disposizioni in materia o a modificarne, ma di questo vedremo in seguito.

Preistoria e storia degli accordi bilaterali.
Non che tali fondi non fossero già presenti nel nostro ordinamento e che la cornice che li consentiva non fosse prevista in qualche caso per legge, ma si trattava d’interventi di carattere generale, a cui però hanno potuto dar seguito solo alcune particolari categorie e settori produttivi a bassa conflittualità e sufficiente disponibilità di risorse; peraltro la legge Fornero ne ha stabilito un iter di esaurimento a partire dal 1° gennaio 2014, cioè proprio dall’inizio di quest’anno. L’art. 2, comma 28 della Legge 662/96, ossia la finanziaria ’97, prevedeva che, in attesa della riforma organica degli ammortizzatori sociali – solito slogan di legge che ora la Riforma Fornero ha avuto se non altro il merito di rendere obsoleto - potessero essere emanati regolamenti che definissero “in via sperimentale misure per il perseguimento di politiche attive di sostegno del reddito e dell'occupazione nell'ambito dei processi di ristrutturazione aziendali e per fronteggiare situazioni di crisi di enti ed aziende pubblici e privati erogatori di servizi di pubblica utilità, nonché delle categorie e settori d’impresa sprovvisti del sistema di ammortizzatori sociali”. La legge dava la possibilità di costituire all’uopo appositi fondi, finanziati mediante un contributo sulla retribuzione non inferiore allo 0,50 per cento ed eventuale partecipazione dei lavoratori al finanziamento con una quota non superiore al 25 per cento del contributo. I fondi affluiscono all’Inps e da questo vengono gestiti con il concorso delle parti sociali e sono ancora in esercizio; antesignane sono state le parti del rapporto bancario con i fondi Vocred e Vocoop, seguite poi dagli esattoriali, dai monopoli di stato e dai postelegrafonici delle Poste Italiane. Non si poteva in questo caso parlare di bilateralità, in quanto la gestione era tout court affidata all’Inps senza l’intervento dei due attori contrattuali, né era disposta come obbligatoria, ma solo come accordo contrattuale, la partecipazione al finanziamento da parte dei lavoratori, intesi nel loro complesso.
La bilateralità invece, questa volta come assetto istituzionale dei rapporti tra le parti, ha poi conosciuto una stagione di crescita e sviluppo per effetto della contrattazione collettiva ed in virtù di una legislazione promozionale che attribuiva in prima battuta particolari benefici, agevolazioni o semplificazioni di gestione per le aziende aderenti agli enti bilaterali, in particolar modo riguardo alla gestione di taluni obblighi relativi o connessi al lavoro dipendente. Può essere citata in proposito la possibilità di rilascio del Durc, dietro apposita convenzione con Inps e Inail, da parte delle Casse edili, ma anche gestioni specifiche richieste per obblighi di legge, soprattutto in materia di salute e sicurezza sul lavoro o di formazione; anzi, in tema di formazione, anche in esperienze comparabili e comparate con analoghi istituti in altre nazioni europee, particolarmente in Francia. Il momento di decollo della bilateralità si poi è avviato con il d.lgs. 276/2003, provvedimento che, nel suo impianto e successive modificazioni, ancora regola il mercato del lavoro: agli enti bilaterali, definiti nell’art. 2, lettera h, venivano riconosciute alcune particolari funzioni nel campo dei rapporti tra datori di lavoro e fornitori di prestazioni lavorative, sia dipendenti che autonome; in particolare competenze per quanto riguarda la certificazione dei contratti di lavoro, la possibilità di esercitare l’attività d’intermediazione tra domanda ed offerta di lavoro, lo svolgimento di un ruolo nei piani formativi individuali per l’apprendistato. Ma, per quanto riguarda più da vicino l’argomento di questa nota, risulta importante e significativa la previsione contenuta nell’art. 12 che dispone, però limitatamente ai lavoratori somministrati, la costituzione di un fondo per la formazione e l’integrazione del reddito su base bilaterale, costituito anche all’interno dell’ente bilaterale di riferimento. Inoltre esperienze settoriali su questo argomento, sia pur parziali e/o di completamento, si sono avute per quanto riguarda ammortizzatori sociali nel comparto artigiano di cui alla Legge 80/2005, di conversione del DL 35/2005, oppure anche quanto previsto, sempre come completamento, dalla Legge 2/2009, di conversione del DL 185/2008.

Con la Fornero una nuova stagione per la bilateralità.
Finora abbiamo accennato a provvedimenti ed accordi già in vigore o in uso da diverso tempo. Più di recente la legge Fornero è intervenuta con l’intento di ridisegnare nel loro complesso gli ammortizzatori sociali: per i settori di lavoro già tutelati dai tradizionali istituti della Cassa integrazione ordinaria e straordinaria e dall’indennità di mobilità, si è trattato di unificare questi istituti nel complesso dell’AspI; in aggiunta - e come naturale completamento - si è provveduto ad individuare un nuovo strumento, quello dei fondi di solidarietà bilaterale, rivolti invece alla platea dei lavoratori non tutelati o diversamente tutelati, nonché ai destinatari degli ammortizzatori sociali in deroga. Quest’ultima categoria, relativa ad un complesso di istituti anche variamente gestiti, per una parte costituiva una sorta di una legislazione provvisoria, se non proprio d’emergenza in quanto misure anticrisi e con il presupposto che la crisi, ancorché non definibile riguardo alla durata, fosse di natura transitoria; per l’altra era diretta a garantire maggiori certezze di tutela in costanza di rapporto di lavoro per una platea più ampia di lavoratori, che ricomprendesse sia i comparti sia le figure comunque esclusi dalla cassa integrazione ordinaria o straordinaria.
 La Legge Fornero si è posta il proposito di superare questo tipo di legislazione provvisoria e d’emergenza; ed ha tentato un approccio organico, puntando ad un allargamento della platea di beneficiari o, meglio, di aventi diritto ed evitando il ricorso a misure straordinarie, che poi si sono sempre risolte in spese straordinarie a carico della fiscalità generale, ma per le quali è accaduto anche di non trovare copertura. Sono note infatti le difficoltà che, specie per l’ultimo periodo, sono state incontrate per il finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga. La novità è perciò che l’obiettivo si perfeziona tramite accordi collettivi tra organizzazioni sindacali ed imprenditoriali che istituiscono fondi bilaterali di solidarietà. Meno novità è che, sia pur settorialmente, per effetto esclusivo della contrattazione sindacale e quindi non per legge, questo mini ammortizzatore sociale era già presente per alcune delimitate esperienze, ma con buona funzionalità.

I nuovi fondi di solidarietà
 a) gli obbligatori. I fondi di solidarietà individuati dalla Legge Fornero sono di tre tipi, obbligatori, alternativi e residuali. Non facciamoci trarre in inganno dalla definizione ‘residuali’, perché ciò non significa automaticamente che siano i meno importanti, anzi, come vedremo, saranno quelli su cui, di fatto, dovrà essere rivolta la maggior attenzione e su cui hanno inciso anche le recenti modifiche apportate dalla legge di stabilità per il 2014. Quelli del primo tipo, obbligatori, si rivolgono alle imprese con più di 15 addetti per i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale ed hanno la funzione di assicurare ai lavoratori una tutela in costanza di rapporto di lavoro, ma possono anche estendere questa tutela, in forma integrativa, alla più generale assicurazione sociale per l’impiego AspI; sono finanziati con contributi a carico del datore di lavoro per due terzi e del lavoratore per un terzo. Presso l’Inps, a mezzo decreti non regolamentari del Ministro del lavoro, vengono istituiti appositi fondi per la gestione di tali contributi; in ciascun decreto istitutivo del fondo sono definite anche le aliquote della contribuzione da ripartirsi tra datori di lavoro e lavoratori nella proporzione sopra indicata. Come detto, i fondi hanno funzione essenziale di assicurare una tutela al lavoratore in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, ma in costanza di rapporto di lavoro. In aggiunta a ciò viene stabilita per i fondi la possibilità di fornire tutele in caso di perdita del posto di lavoro, prevedere assegni straordinari per il sostegno al reddito in occasione di procedure di esodo, contribuire al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale.
b) gli alternativi. Rivestono invece carattere alternativo quei fondi, non obbligatori per legge, che possono essere stipulati nelle aziende con un numero di dipendenti inferiore a 16 ed operanti in quei settori, prevalentemente dell’artigianato o del commercio, nei quali è già esistente un sistema di bilateralità attivo e consolidato. In tal caso le parti sociali hanno la possibilità di adeguare le fonti istitutive dei rispettivi fondi alle finalità caratteristiche dei fondi obbligatori, con un’aliquota di contribuzione ordinaria che non deve essere inferiore allo 0,20%. Spetta agli organi di gestione dei fondi stabilire l’aliquota di contribuzione nel caso sia necessario fissarla ad un valore superiore allo 0,20%, determinare le tipologie di prestazioni e tutto quanto è necessario per una gestione dei fondi stessi corretta ed efficace.
c) i residuali. La legge prevede anche l’eventualità che per i settori in cui debbono stabilirsi fondi obbligatori, nel caso in cui le parti non provvedano o non abbiano provveduto entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, termine poi prorogato al 31 marzo 2013, e successivamente al 31 ottobre 2013, venga costituito con decreto del Ministero del lavoro, di concerto con il Ministero dell’economia, un fondo di solidarietà residuale con decorrenza dal 1° gennaio 2014, a cui contribuiscono i datori di lavoro dei settori individuati. Ma anche il termine del 31 ottobre non è stato rispettato se non per casi limitati, né sono state avviate le procedure per la costituzione del fondo residuale, venendosi a determinare una sorta di vacatio operativa, il che costituisce anche conferma di una non insolita, in Italia, divergenza tra la qualità della norma e l’efficacia del suo cammino esecutivo.

Un esempio di accordo raggiunto.
Vedremo più avanti le disposizioni adottate in proposito dalla legge di stabilità 2014, ma prima può essere utile fare qualche breve considerazione, soprattutto di natura esemplificativa, sulle esperienze che fin qui si sono svolte e su alcuni accordi intervenuti, uno per tutti il fondo di solidarietà per le aziende del trasporto pubblico. E’ significativa infatti la circostanza che proprio il settore del trasporto abbia valutato l’importanza della sottoscrizione di un accordo di categoria che evitasse un salto nel buio del fondo residuale, soprattutto in considerazione della crisi generale di questo settore e quindi della necessità di una politica previsionale specifica e misurata sulle condizioni del settore medesimo, ma la stessa circostanza è anche singolare perché il comparto del trasporto pubblico attende da anni il rinnovo del contratto nazionale di lavoro ed ancora non si scorgono segnali incoraggianti in proposito. Una delle caratteristiche salienti di questo accordo è che sul piano delle prestazioni si pone assolutamente in linea con la previsione massima legislativa, garantendo un assegno ordinario ai lavoratori in regime di sospensione totale o parziale dal lavoro, ma in costanza di rapporto, un assegno integrativo dell’AspI per i lavoratori licenziati, un assegno straordinario di accompagnamento per coloro che hanno titolo al pensionamento anticipato ed infine il finanziamento degli interventi formativi di riconversione o riqualificazione professionale. Da considerare inoltre che all’accordo possono aderire, però su base volontaria, anche le aziende del settore con un numero di dipendenti inferiore a sedici, con ciò realizzando condizioni di categoria unificanti tra la tipologia obbligatoria e quella alternativa.

Le ultime modifiche con la legge di stabilità 2014.
Quanto ad altri settori o comparti, si è già accennato allo scarso accoglimento tra le categorie dell’iniziativa legislativa, il che ha sollevato tra gli operatori del diritto del lavoro anche dubbi o incertezze circa la perentorietà o l’ordinatorietà dei termini temporali fissati, ma a tutto ciò hanno posto rimedio alcune importanti modifiche apportate al testo in occasione dell’ultima legge di stabilità recentemente approvata.
In particolare i termini temporali per la costituzione dei fondi sono stati aboliti. Di conseguenza, per tutti i settori e le tipologie di attività non coperti dalla normativa in materia d’integrazione salariale, che non abbiano stipulato gli accordi collettivi previsti per i fondi di solidarietà bilaterale obbligatori, resta in vigore la previsione del loro inserimento nel fondo residuale. Tuttavia, diversamente dalla prima formulazione, è stata salvaguardata la possibilità di costituire il fondo specifico in qualsiasi momento e ciò comporta che fino al momento di costituzione del fondo vige il regime del fondo residuale, ossia una contribuzione di finanziamento pari allo 0,50%,salvo la possibilità di istituire eventuali addizionali, di cui due terzi a carico del datore di lavoro ed un terzo a carico del lavoratore. E’ prevista anche una fase transitoria, in base alla quale, se alla data del 1° gennaio 2014 sono in corso procedure relative alla costituzione di fondi alternativi di solidarietà bilaterale, il suddetto obbligo di contribuzione – ma anche le prestazioni previste - è sospeso fino al 31 marzo 2014, a condizione però che la procedura venga completata per quella data; in caso contrario l’obbligo viene ripristinato con effetto retroattivo. Diversamente, per tutti i fondi che si costituiranno, sempre nel settore delle aziende con più di 15 dipendenti, in relazione a settori per i quali esiste già una copertura del fondo residuale, i contributi già versati, sempre nella medesima misura dello 0,50%, restano acquisiti al fondo residuale, eventualmente rimanendo i datori di lavoro obbligati ad assicurare la copertura delle prestazioni già deliberate. La legge non lo dice espressamente, ma è intuitivo che la disposizione vale per i fondi obbligatori di cui si inizi la procedura per la costituzione dopo la data del 1° gennaio 2014.
Infine un accenno ad una disposizione che non è passata inosservata, anzi è stata da tutti puntualmente registrata, ma che, ad una prima lettura, è apparsa piuttosto misteriosa e che mi pare non sia stata ancora compiutamente inserita in una logica generale delle correzioni apportate in sede di legge di stabilità: l’impressione è che si tratti di un aggiustamento di carattere tecnico. Il riferimento è all’inversione di rotta attuata riguardo alla durata delle prestazioni del fondo di solidarietà residuale, che ora viene stabilito per tutti i fondi di solidarietà, compreso appunto quello residuale, per una durata non inferiore ad un ottavo delle ore complessivamente lavorabili da computare in un biennio mobile, mentre la precedente lettura della legge stabiliva che per i residuali tale durata dovesse essere non superiore a detto limite. Si trattava di un evidente errore di redazione della legge, che però ha una fase precedente che vale la pena di essere ricordata, con l’avvertenza che nell’art. 3 della Legge Fornero il comma 20 si riferisce ai fondi residuali, mentre il comma 31 fa riferimento ai fondi di cui al comma 4 che cita i residuali solo per un rinvio ai commi 19 e seguenti: comunque per tutte le tipologie il testo originario della legge prevedeva un limite non inferiore. Successivamente in una risposta in seguito ad un interpello il Ministero del lavoro si dichiarava di parere diverso alla legge, affermando che quel rigido tetto era di fatto in contrasto con la finalità del legislatore di garantire adeguate forme di sostegno al reddito; parere a cui la legge si è adeguata in sede di stabilità 2013, ma solo modificando il comma 31 e non il 20. Da qui il tutto.

Come già detto all’inizio, la materia è in continua evoluzione, anzi si prospettano programmi di completa ristrutturazione di tutto il comparto legislativo in tema lavoro, anche se al momento siamo ancora a livello di dibattito all’interno delle forze politiche con aggiunta di commenti da parte degli esperti del settore, per cui è possibile anche che l’intero impianto che con le attuali modifiche è stato portato a sufficiente compimento venga stravolto. Ma il compito che riguarda noi cronisti della vicenda lavoro è anche quello di fare il punto sullo stato attuale, a beneficio di chi trae interesse nella materia. E su questo, al momento, facciamo stop.

Silla Cellino

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