Considerazioni impolitiche, ma tutto fa politica
pubblicato il 14 ottobre 2013 su www.pensalibero.it
Da più parti, essendomi accaduto in
passato di scrivere commenti alle leggi sull’immigrazione, con particolare
riferimento alla cosiddetta Bossi-Fini quando fu introdotta, mi chiedono un’opinione
sull’adeguatezza dell’attuale legislazione e se questa in qualche modo possa esser
ritenuta responsabile di quanto è avvenuto e che purtroppo potrebbe ancora
avvenire, indipendentemente dagli esiti tragici che si sono verificati in
questi giorni ed anche in un passato non lontano. In effetti, tutta questa
polemica montante contro la Bossi-Fini quasi fosse l’unica responsabile di
quanto succede a Lampedusa e dintorni appare molto nominalistica e poco di
sostanza, anche se la politica ha le sue ragioni e ci sono sufficienti motivi
per spingere verso un cambiamento, se non altro in direzione di una diversa
valutazione dell’impatto internazionale da una parte, di una riconsiderazione
del fenomeno a livello politico dall’altra, che sia in grado di prescindere
dalle comprensibili emotività del momento.
Certo c’è da dire che molto tempo è
passato e che parecchi avvenimenti, anche cruciali, si sono susseguiti dai
primi tentativi di sistemazione del fenomeno dell’immigrazione. Le leggi
Martelli, fin dal 1986 e successivamente nel 1990, ebbero il merito di
collocarsi in un contesto culturale di apertura, più civile ed umanitaria che
politica, verso il fenomeno dell’immigrazione che si stava consolidando, ma
agivano in una situazione che ancora non presentava le dimensioni e le urgenze
del momento attuale, né potevano allora prevederle, specie quelle collegate ai
drammi delle vicende in vari paesi del mondo, in particolare tra quelli
dell’area mediterranea o ad essa in qualche modo contigui, né prenderli in carico.
Fu perciò solo con il d.lgs. 286/1998
che fu prodotto un testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione, che nell’accezione comune, per effetto dei suoi primi
firmatari, prese il nome di legge Turco-Napolitano. Rispetto ai precedenti
legislativi il testo unico ha l’ambizione di rappresentare un corpo organico di
disposizioni in materia d’ingresso e soggiorno degli stranieri, controllo delle
frontiere e provvedimenti ad esso connessi, come disciplina del lavoro,
condizioni civili e sociali di vita dello straniero nel nostro paese; il tutto
inquadrato nella duplice ottica di assicurare la regolarità delle condizioni
d’ingresso e di soggiorno e l’esigenza di garantire un’effettiva parità di
trattamento per gli stranieri non comunitari ed un’efficace tutela a favore di
chi possa trovarsi in condizioni effettivamente svantaggiate.
La legge Bossi-Fini, che intervenne
modificando alcune parti del d.lgs 286/1998, rappresentò, per intervenuto
cambio di maggioranza governativa, un aggiustamento di carattere politico del
precedente testo, stavolta più attento alle preoccupazioni, principalmente di
ordine pubblico, di larghi settori dell’elettorato moderato e soprattutto del
nord, ma non venne intaccata la valenza sociale del provvedimento, anzi in
alcuni punti si registrarono dei miglioramenti.
I problemi in realtà sono venuti dopo,
quando la crisi economica ha riscritto gli equilibri sociali e le peggiorate
condizioni internazionali hanno spinto un numero sempre crescente di persone verso
un’Italia invece sempre meno adatta per un’accoglienza di massa e in alcuni
settori sempre meno disposta. E’ stato in questa fase che la Turco-Napolitano,
già riformata dalla Bossi-Fini, ha subito le maggiori trasformazioni, anche se
occorre riconoscere che tali trasformazioni avrebbero avuto un impatto tutto
sommato poco rilevante se da una parte
dell’opinione pubblica non si fossero manifestate correnti decisamente critiche
se non contrarie al fenomeno migratorio.
In particolare la Legge 94/2009, cosiddetto
Pacchetto sicurezza, ispirato dall’allora ministro dell’interno Maroni, che non
è organicamente diretta a superare il Testo Unico sull’immigrazione, ma che vi
incide per alcuni provvedimenti, prevede una serie di norme, delle quali alcune
più direttamente si ricollegano agli avvenimenti di questi giorni e che sono
fonte di polemica. In particolare è da segnalare, con il nuovo art. 10-bis del
d.lgs 286/1998, l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, che però
è punibile con una semplice ammenda da 5 a 10 mila euro, peraltro non sanabile
con l’oblazione. Per la verità c’è da osservare che gran parte della dottrina
ritiene che non integrino questa fattispecie di reato né il caso dello
straniero temporaneamente ammesso sul territorio nazionale per necessità di
pubblico soccorso né quello di chi sia raccolto in acque internazionali da navi
italiane e portato a terra sempre per necessità di soccorso, che sono appunto i
casi che si stanno verificando in questi giorni ed anche in passato. Tanto che
le polemiche investono l’iniziativa di uno zelante magistrato, che naturalmente
non risponderà a nessuno se non al giudizio di una pubblica opinione. Ma la
logica politica ha le sue leggi non scritte e quindi è perfettamente normale
che la domanda più in voga oggi, anche da parte di importanti cariche
istituzionali, sia quella di abrogare la Bossi-Fini.
Ciò che invece difetta e non da ora è
una disciplina dell’accoglienza. E questa deve essere intesa non solo come
soluzione logistica per la gestione delle emergenze, ma anche come presa d’atto
di una situazione internazionale cambiata, in cui la spinta migratoria non avviene
soltanto per la ricerca di un lavoro o di migliori condizioni di vita, ma anche
per sfuggire a conflitti, repressioni, in qualche caso persecuzioni. E’ giusto
che per queste occasioni venga coinvolta l’Europa e che l’Europa risponda nella
sua interezza anche politica, ma è necessario anche che l’Italia prenda atto
senza piangere che tra i paesi più esposti è quello che ha una maggiore tradizione
d’accoglienza ed una coscienza civile diffusa di forte spessore.
In una situazione di tal genere il
d.lgs 286/1998, sia nella versione Turco-Napolitano che in quella rinnovata e
più volte rimaneggiata Bossi-Fini, non può essere considerato strumento adatto
per dare risposte ai problemi di accoglienza indotti dalle emergenze, mentre
invece appare necessario che la questione dell’immigrazione, al di là della
pura motivazione lavoro o miglioramento delle condizioni di vita, venga
affrontata con una legislazione speciale che però abbia una fonte d’ispirazione
compartecipata a livello europeo.
Per la verità una legislazione parziale
sul diritto di asilo già esiste, sia come attuazione di alcune disposizioni
della Bossi-Fini, sia più tardi, col d.lgs 251/2007, come trasposizione nel
diritto nazionale di una direttiva europea; tuttavia dalla lettura dei
provvedimenti appare evidente che si tratta solo di disposizioni mirate a
situazioni di carattere congiunturale e quasi individuali e non a fenomeni
collettivi, se non proprio di massa, quali sono quelli che si stanno
verificando nell’attuale scorcio temporale.
La soluzione logica perciò sarebbe di
un duplice intervento. Da una parte quello di riformare il d.lgs 286/98 e
successive modificazioni nel senso di restituirlo alla sua vocazione originaria,
di regolatore sociale del rapporto tra immigrazione e condizioni del lavoro e
dell’accoglienza civile e sociale, naturalmente corredato da tutte le
disposizioni concernenti l’ingresso dei lavoratori, le implicazioni di
carattere familiare e quelle collegate di sicurezza al cui interno deve
svolgersi il rapporto e la convivenza civile. Dall’altra quello di reinventare
l’accoglienza per motivi politici, oltre che sociali e di protezione,
inquadrandolo però in una concezione che vede l’Italia come una delle punte
avanzate del fenomeno, che perciò necessita di risposte immediate senza essere
improvvisate, ma che deve svolgersi in un pieno spirito di collaborazione
europea. L’attuale dibattito che si svolge a livello di istituzioni comunitarie
a parole sembra muoversi, sia pur in modo frammentario, in questa direzione:
l’importante è che non restino solo parole e neppure frammenti, ma sarà da
questo che potrà misurarsi l’autorevolezza dei governanti italiani. Se ce la faranno.
Silla
Cellino
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