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sabato 24 novembre 2012

Il mio parere sulle primarie, non per chi voto, ma su ciò che potrebbe accadere dopo


E’ difficile scrivere alla vigilia di un evento, come può essere legittimamente considerato il primo turno delle primarie nella coalizione pd ed altri scampoli della sinistra, tuttavia se si evita il rischio di far pronostici, dipingere gli scenari che potrebbero prospettarsi dietro il voto può essere utile, se non altro per fantasticare.

Innanzi tutto il palcoscenico su cui si recita. Punto primo la situazione internazionale, poi l’Europa. L’ attenzione è rivolta all’interno ed alle nostre cose, ma, mentre qui ci si appre­sta a votare, la zona più critica della scena mondiale è in fiamme e  solo agli Stati Uniti ed al suo presidente viene delegato il compito di rappresentare l’occidente. Tutto ciò non ri­guarda solo la solita crisi palestinese o le conseguenze della guerra civile in Siria, ma i rap­porti con le micro potenze del golfo, la finanza araba, l’evolversi delle varie primavere nor­dafricane o l’emergere di nuovi equilibri di potere al loro interno; riguarda anche un’atten­zione verso l’Iran e le sue contraddizioni con la situazione interna e, in fin dei conti, l’inte­resse, nell’ impossibilità di trovare la pace, a mantenere se non altro l’equilibrio sul filo del­la precarietà in quell’area. Tutto questo mentre gli stessi Stati Uniti sono in contemporanea impegnati a gestire da protagonisti il rapporto con l’Oriente asiatico, tutto; costituendo questo l’impegno prioritario.

L’Europa è assorta con la sua debolezza economica in un duro negoziato per il quale non s’intravede un epilogo positivo a breve termine. Ne va anche dei destini futuri del conti­nente, ma la sinistra europea riflette le preoccupazioni dei singoli paesi a cui i partiti in gioco appartengono. Non parliamo di strategia, ma  non emerge neppure il minimo abboz­zo di una posizione comune su singoli problemi. Lo stesso dicasi per le altre correnti politi­che esistenti nel nostro paese e per i loro riferimenti d’oltralpe. Del resto, soprattutto da noi, il problema è talmente poco sentito che ieri nelle prime pagine dei più importanti gior­nali italiani la politica internazionale non esisteva ed oggi si risveglia solo per annunciare il disastro.

Qui invece l’attenzione è completamente catturata dalle primarie. Accantoniamo momen­taneamente quelle del centro-destra, ammesso che si facciano e che comunque, per ora, as­somigliano più ad una sceneggiata che ad un vero confronto politico. In quelle del centro sinistra invece si misurano cinque contendenti e per lo meno tre posizioni politiche. Mi perdonino Puppato e Tabacci, ma la loro partecipazione è di fatto marginale, indipenden­temente dalla loro dignità e dalle loro migliori intenzioni. Non ritengo invece marginale la candidatura di Vendola, che riassume una presenza ideale e politica che nella sinistra italiana c’è sempre stata e che non è possibile relegare allo zoccolo duro del vecchio comunismo, tant’è vero che i veri interpreti dello zoccolo duro si sono prontamente schierati con Bersa­ni, ma piuttosto da assegnare ad una certa sinistra socialista che, salvo il condizionamento dei tempi, viene da Lelio Basso, pas­sa per Franco Fortini ed arriva anche fino al primo Bertinotti. Riccardo Lombardi invece era un’altra cosa. Oggi più modernamente si rigenera in Vendola, rimarrà minoritaria, ma resterà utile come sponda dialettica, per non perdersi.

Ed allora vediamo che cosa potrebbe succedere in caso di vittoria di uno dei due favoriti, con le limitazioni di previsione che derivano dal fatto che ancor non si sa quale sia il sistema elettorale con cui andremo a votare  alle prossime consultazioni politiche: il che non è del tutto indifferente.

L’ipotesi che tutti ritengono più probabile è che vinca Bersani, meno si­curo è se ciò potrà avvenire direttamente al primo turno oppure al ballottaggio. In questo caso si dice che chi ha vinto ha vinto, ma la storia ci dimostra che poi, nella seconda fase, quando sarà stata sciolta anche quella banale formalità a cui nessuno ora pensa, ma che saranno le elezioni vere e proprie, chi deve fare i conti con degli alleati determinanti prima o poi ne subisce il condizionamento, specialmente se la si­tuazione impone la prosecuzione ed il consolidamento delle politiche di risanamento che in qualche modo debbano passare sulla testa del pubblico più numeroso e delle categorie più esposte. Certo è che il clima attuale non potrà consentire ad un governo guidato da Bersani di intervenire in maniera efficace su molti punti che hanno riflessi nel sociale, anzi elevato è il rischio di agire in controriforma su temi chiave quali, esemplificando, la riforma del lavoro e delle pensioni, che il presente governo ha af­frontato con soluzioni discutibili e contestate, però frutto di una visione riformatrice e, se non proprio organica, almeno non posticcia, con particolare riferimento al nuovo assetto degli ammortizzatori sociali. Bersani si presenta perciò con un sistema di debolezze che sono date in primo luogo dal dover rispondere ad una coalizione eterogenea (già visto) che si ritrova su un programma troppo sommario. In secondo luogo dalla possibile necessità di dover ricorrere ad alleanze con forze esterne alla coalizione ed in più esse stesse convinte di dover giocare ruoli da protagoniste, magari sproporzionata alla loro consistenza; tralasciamo di dire, tanto si capisce lo stesso, che queste forze non presentano niente di nuovo, anzi sono pesantemente legate ai metodi della vecchia politica. Infine il partito e segnatamente la sua corrente, che non appaiono al passo coi tempi: né le vecchie glorie, poco adeguate ai mutamenti intervenuti e che si comportano come non se ne fossero accorte, né i giovani raccolti attorno al segretario, che puzzano pericolosamente di vecchio, per metodi di lavoro e relativi contenuti, ma anche per quella sorta di presunzione culturale che era tipica di un partito che invece non c’è più, ma che sotto sotto vorrebbe sempre riproporsi.

Per quanto riguarda Renzi, invece, la tentazione ad essere ottimisti è forte. Proprio sulla Repubblica di oggi Alessandro Baricco ha scritto un endorsement (così va di moda dire e così anch’io mi adeguo per essere compreso) a favore del rottamatore che è un capolavoro degno proprio di Baricco. Ma un conto è giustificare le ragioni, gran parte delle quali legit­time, per cui si può scegliere di votare Renzi, altro è chiedersi se, una volta vinte le prima­rie e poi anche le elezioni vere e proprie, un programma alla Renzi abbia la possibilità di essere realizzato, al di là delle parole e dei proclami e soprattutto in presenza di tutte quelle forze che remeranno contro: quelle contro cui il suo programma si arma, che sono molte, resistenti e soprattutto congenite. Ma anche di quelle che faranno di tutto per sgambettarlo dall’interno. Tanto per fare un esempio che a Firenze ci riguarda da vicino, molti aspettano che in qualche modo Renzi tolga il disturbo per far passare le rotaie del tram davanti al Battistero: non è una libera interpretazione, lo hanno già dichiarato. 

Non voglio per un secondo pensare che l’impegno di Renzi non sia genuino e cioè, come molti insinuano, che si tratti solo di una crociata per affermare a livello nazionale la sua fi­gura di leader. Ma in realtà, al di là degli entusiasmi che  sono lo strumento obbligato per chi come lui, voglia in qualche modo convogliare in una scelta politica energie che fino­ra hanno esplicato altrove il proprio impegno civile o sociale oppure semplicemente perso­nale, resta il problema se queste forze siano sufficienti per scalfire quell’intricato tessuto di poteri che ha caratterizzato e dominato l’ultima fase della nostra vita sociale e politica, che ormai dura da più di un ventennio. Oggi la geografia del privilegio si svolge su una mappa molto estesa, spesso funzionalmente collegata e, purtroppo per Renzi, esistente anche nel variegato mondo della sinistra come pure all’interno del suo stesso partito o del­l’altro co-protagonista, il sindacato. Dovrà rendersi conto che il primo e più insidioso scon­tro, sommerso e non frontale, avverrà non con i poteri forti, cui qualche  intervento di ra­zionalizzazione potrebbe non dispiacere, ma al suo stesso interno ed è ovviamente il più in­sidioso, perché è dimostrato che in Italia le coalizioni di sinistra cadono proprio e soltanto a causa della lotta interna.

Resta il panorama internazionale. Qualcuno ironizza pensando ad un Renzi al cospetto della Merkel. Ma qualche anno fa dicevano lo stesso in Germania della Merkel e poi, con la stessa Merkel e tutti gli altri non sarà poi così difficile fare una figura migliore di qualcuno che lo ha preceduto ed il riferimento non è a Monti. Nemmeno Bersani del resto ha una statura internazionale di rilievo se si eccettua qualche rapporto di buon vicinato con i colleghi dell’internazionale socialista. Ma non è questo il punto dolente: che invece riguarda una vocazione ed una coscienza internazionale che nei due candidati e nei loro programmi non esiste e quindi che l’Italia continuerà ad essere una delle cenerentole d’Europa, mentre la sua importanza economica, la sua posizione geografica, la sua stessa storia dovrebbero dire tutto il contrario. Non è smania o mania di dover esser protagonisti per forza, ma timore che le grandi scelte, quelle che contano e non solo quelle in Europa possano avvenire indipendentemente dal nostro legittimo interesse. E sarà ciò che potrà avere le maggiori conseguenze per il futuro.

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