E’
difficile scrivere alla vigilia di un evento, come può essere legittimamente
considerato il primo turno delle primarie nella coalizione pd ed altri scampoli
della sinistra, tuttavia se si evita il rischio di far pronostici, dipingere
gli scenari che potrebbero prospettarsi dietro il voto può essere utile, se non
altro per fantasticare.
Innanzi
tutto il palcoscenico su cui si recita. Punto primo la situazione
internazionale, poi l’Europa. L’ attenzione è rivolta all’interno ed alle
nostre cose, ma, mentre qui ci si appresta a votare, la zona più critica della
scena mondiale è in fiamme e solo agli Stati Uniti ed al suo presidente
viene delegato il compito di rappresentare l’occidente. Tutto ciò non riguarda
solo la solita crisi palestinese o le conseguenze della guerra civile in Siria,
ma i rapporti con le micro potenze del golfo, la finanza araba, l’evolversi
delle varie primavere nordafricane o l’emergere di nuovi equilibri di potere
al loro interno; riguarda anche un’attenzione verso l’Iran e le sue
contraddizioni con la situazione interna e, in fin dei conti, l’interesse,
nell’ impossibilità di trovare la pace, a mantenere se non altro l’equilibrio
sul filo della precarietà in quell’area. Tutto questo mentre gli stessi Stati
Uniti sono in contemporanea impegnati a gestire da protagonisti il rapporto con
l’Oriente asiatico, tutto; costituendo questo l’impegno prioritario.
L’Europa
è assorta con la sua debolezza economica in un duro negoziato per il quale non
s’intravede un epilogo positivo a breve termine. Ne va anche dei destini futuri
del continente, ma la sinistra europea riflette le preoccupazioni dei singoli
paesi a cui i partiti in gioco appartengono. Non parliamo di strategia,
ma non emerge neppure il minimo abbozzo di una posizione comune su
singoli problemi. Lo stesso dicasi per le altre correnti politiche esistenti
nel nostro paese e per i loro riferimenti d’oltralpe. Del resto, soprattutto da
noi, il problema è talmente poco sentito che ieri nelle prime pagine dei più
importanti giornali italiani la politica internazionale non esisteva ed oggi
si risveglia solo per annunciare il disastro.
Qui
invece l’attenzione è completamente catturata dalle primarie. Accantoniamo
momentaneamente quelle del centro-destra, ammesso che si facciano e che
comunque, per ora, assomigliano più ad una sceneggiata che ad un vero
confronto politico. In quelle del centro sinistra invece si misurano cinque
contendenti e per lo meno tre posizioni politiche. Mi perdonino Puppato e
Tabacci, ma la loro partecipazione è di fatto marginale, indipendentemente
dalla loro dignità e dalle loro migliori intenzioni. Non ritengo invece
marginale la candidatura di Vendola, che riassume una presenza ideale e
politica che nella sinistra italiana c’è sempre stata e che non è possibile
relegare allo zoccolo duro del vecchio comunismo, tant’è vero che i veri
interpreti dello zoccolo duro si sono prontamente schierati con Bersani, ma
piuttosto da assegnare ad una certa sinistra socialista che, salvo il
condizionamento dei tempi, viene da Lelio Basso, passa per Franco Fortini ed
arriva anche fino al primo Bertinotti. Riccardo Lombardi invece era un’altra
cosa. Oggi più modernamente si rigenera in Vendola, rimarrà minoritaria, ma
resterà utile come sponda dialettica, per non perdersi.
Ed
allora vediamo che cosa potrebbe succedere in caso di vittoria di uno dei due
favoriti, con le limitazioni di previsione che derivano dal fatto che ancor non
si sa quale sia il sistema elettorale con cui andremo a votare alle
prossime consultazioni politiche: il che non è del tutto indifferente.
L’ipotesi
che tutti ritengono più probabile è che vinca Bersani, meno sicuro è se ciò
potrà avvenire direttamente al primo turno oppure al ballottaggio. In questo
caso si dice che chi ha vinto ha vinto, ma la storia ci dimostra che poi, nella
seconda fase, quando sarà stata sciolta anche quella banale formalità a cui
nessuno ora pensa, ma che saranno le elezioni vere e proprie, chi deve fare i conti
con degli alleati determinanti prima o poi ne subisce il condizionamento,
specialmente se la situazione impone la prosecuzione ed il consolidamento delle
politiche di risanamento che in qualche modo debbano passare sulla testa del
pubblico più numeroso e delle categorie più esposte. Certo è che il clima
attuale non potrà consentire ad un governo guidato da Bersani di intervenire in
maniera efficace su molti punti che hanno riflessi nel sociale, anzi elevato è
il rischio di agire in controriforma su temi chiave quali, esemplificando, la
riforma del lavoro e delle pensioni, che il presente governo ha affrontato con
soluzioni discutibili e contestate, però frutto di una visione riformatrice e,
se non proprio organica, almeno non posticcia, con particolare riferimento al
nuovo assetto degli ammortizzatori sociali. Bersani si presenta perciò con un
sistema di debolezze che sono date in primo luogo dal dover rispondere ad una
coalizione eterogenea (già visto) che si ritrova su un programma troppo
sommario. In secondo luogo dalla possibile necessità di dover ricorrere ad
alleanze con forze esterne alla coalizione ed in più esse stesse convinte di
dover giocare ruoli da protagoniste, magari sproporzionata alla loro
consistenza; tralasciamo di dire, tanto si capisce lo stesso, che queste forze
non presentano niente di nuovo, anzi sono pesantemente legate ai metodi della
vecchia politica. Infine il partito e segnatamente la sua corrente, che non
appaiono al passo coi tempi: né le vecchie glorie, poco adeguate ai mutamenti
intervenuti e che si comportano come non se ne fossero accorte, né i giovani
raccolti attorno al segretario, che puzzano pericolosamente di vecchio, per
metodi di lavoro e relativi contenuti, ma anche per quella sorta di presunzione
culturale che era tipica di un partito che invece non c’è più, ma che sotto
sotto vorrebbe sempre riproporsi.
Per
quanto riguarda Renzi, invece, la tentazione ad essere ottimisti è forte.
Proprio sulla Repubblica di oggi Alessandro Baricco ha scritto un endorsement
(così va di moda dire e così anch’io mi adeguo per essere compreso) a favore
del rottamatore che è un capolavoro degno proprio di Baricco. Ma un conto è
giustificare le ragioni, gran parte delle quali legittime, per cui si può
scegliere di votare Renzi, altro è chiedersi se, una volta vinte le primarie e
poi anche le elezioni vere e proprie, un programma alla Renzi abbia la
possibilità di essere realizzato, al di là delle parole e dei proclami e
soprattutto in presenza di tutte quelle forze che remeranno contro: quelle
contro cui il suo programma si arma, che sono molte, resistenti e soprattutto
congenite. Ma anche di quelle che faranno di tutto per sgambettarlo
dall’interno. Tanto per fare un esempio che a Firenze ci riguarda da vicino,
molti aspettano che in qualche modo Renzi tolga il disturbo per far passare le
rotaie del tram davanti al Battistero: non è una libera interpretazione, lo
hanno già dichiarato.
Non
voglio per un secondo pensare che l’impegno di Renzi non sia genuino e cioè,
come molti insinuano, che si tratti solo di una crociata per affermare a livello
nazionale la sua figura di leader. Ma in realtà, al di là degli entusiasmi che
sono lo strumento obbligato per chi come lui, voglia in qualche modo
convogliare in una scelta politica energie che finora hanno esplicato altrove
il proprio impegno civile o sociale oppure semplicemente personale, resta il
problema se queste forze siano sufficienti per scalfire quell’intricato tessuto
di poteri che ha caratterizzato e dominato l’ultima fase della nostra vita
sociale e politica, che ormai dura da più di un ventennio. Oggi la geografia
del privilegio si svolge su una mappa molto estesa, spesso funzionalmente
collegata e, purtroppo per Renzi, esistente anche nel variegato mondo della
sinistra come pure all’interno del suo stesso partito o dell’altro
co-protagonista, il sindacato. Dovrà rendersi conto che il primo e più
insidioso scontro, sommerso e non frontale, avverrà non con i poteri forti,
cui qualche intervento di razionalizzazione potrebbe non dispiacere, ma
al suo stesso interno ed è ovviamente il più insidioso, perché è dimostrato
che in Italia le coalizioni di sinistra cadono proprio e soltanto a causa della
lotta interna.
Resta il panorama
internazionale. Qualcuno ironizza pensando ad un Renzi al cospetto della
Merkel. Ma qualche anno fa dicevano lo stesso in Germania della Merkel e poi,
con la stessa Merkel e tutti gli altri non sarà poi così difficile fare una
figura migliore di qualcuno che lo ha preceduto ed il riferimento non è a Monti.
Nemmeno Bersani del resto ha una statura internazionale di rilievo se si
eccettua qualche rapporto di buon vicinato con i colleghi dell’internazionale
socialista. Ma non è questo il punto dolente: che invece riguarda una vocazione
ed una coscienza internazionale che nei due candidati e nei loro programmi non
esiste e quindi che l’Italia continuerà ad essere una delle cenerentole d’Europa,
mentre la sua importanza economica, la sua posizione geografica, la sua stessa storia
dovrebbero dire tutto il contrario. Non è smania o mania di dover esser
protagonisti per forza, ma timore che le grandi scelte, quelle che contano e
non solo quelle in Europa possano avvenire indipendentemente dal nostro
legittimo interesse. E sarà ciò che potrà avere le maggiori conseguenze per il futuro.
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