Translate

Translate

sabato 5 marzo 2016

Conflitti vissuti e rivalità emergenti, non solo Medio Oriente e Islam


(sarà pubblicato domani su www.pensalibero.it)

L’interesse alla politica internazionale o, per meglio dire alla situazione internazionale nel suo complesso, al momento attuale è praticamente monopolizzato da ciò che succede nell’area mediorientale e dalle conseguenze che tutto questo provoca, per molteplici ragioni, anche  all’attenzione europea. Poi nel nostro piccolo ci armeremo per la Libia, come facemmo un tempo per il Kosovo, anche se adesso ci sono motivazioni che ci riguardano più da vicino e, forse, interessi diversi ed importanti da salvaguardare. E comunque tante sono, in generale, le implicazioni in essere, che ci inducono reazioni di tipo emotivo oltre che politico, ma quasi tutte circoscritte a quell’ambito geografico Medio Oriente/Africa Settentrionale/Europa; ossia rispettivamente il luogo di origine del conflitto, le aree dove questo può estendersi o si è già esteso e il continente-rifugio nella sua doppia configurazione di terreno marginale di scontro, ma anche di meta preferenziale per le popolazioni che vogliono sfuggire alla disperazione della guerra e dei massacri. Naturalmente le polemiche sono a mille, su tutti i fronti, anche oggi.

Eppure il mondo non finisce qui. Né si può pensare che le sue sorti – sempre quelle del mondo - dipendano esclusivamente da un conflitto religioso, interreligioso o intrareligioso che possa essere. Per rendercene conto guardiamo un attimo agli Stati Uniti. Il dibattito sulla politica internazionale è scarsamente presente, al momento, nella competizione per le primarie presidenziali. Si sa infatti che ogni partecipante va alla conquista di un voto utile per ottenere il risultato della candidatura; e per far questo punta ad argomenti più comprensibili e più vicini agli interessi diretti dell’elettorato, fondati sui grandi temi nazionali, ma soprattutto sociali e anche a dimensione locale. La situazione internazionale al massimo rimane sullo sfondo. Però al momento del voto presidenziale probabilmente non sarà più così, non lo sarà sicuramente ad elezioni avvenute, quando gli Stati Uniti, come succede per l’Europa, dovranno fare i conti con i mutamenti intervenuti nell’agone mondiale, anche ben al di là del turbinoso scacchiere mediorientale.

É abbastanza scontato che debbano esser ridisegnati i rapporti con la Russia, che non è più – o più precisamente, forse, non vuole più essere – quella realtà uscita sconfitta e praticamente a pezzi dalla guerra fredda, ma punta a far riemergere un suo ruolo, forte delle proprie risorse energetiche, della nascita di un nucleo dirigente da queste originato, di un leader politico discutibile sotto tanti aspetti, ma che acquisisce carisma all’interno e riconoscimenti in alcuni ambienti internazionali, ma soprattutto pratica una rinnovata ambizione di potenza per la quale gioca spregiudicatamente, dalla situazione ucraina a quella mediorientale, fino al ripristino di relazioni molto amichevoli, se non ancora privilegiate anche con la Cina.

Già, la Cina. Al netto dell’interesse e della considerazione che gode per il processo di modernizzazione interna e le sue aperture verso le relazioni mondiali, il ruolo che questo paese svolge e che si avvia a potenziare nella situazione internazionale anche al di fuori dell’ambito regionale è in gran parte sottostimato. Da molto tempo infatti, quasi in contemporanea e in progressione con il suo sviluppo interno, la Cina sta lavorando per una decisa supremazia nell’area del sud-est asiatico e non solo. Questa situazione è da tempo sotto osservazione dei commentatori delle vicende internazionali, anche se stupisce che un’inesauribile area d’informazione e di studio sulla politica internazionale come l’ISPI non dedichi attenzione alla questione cinese nel suo rapporto annuale. E’ un fatto però che la Repubblica popolare oggi è molto attiva per conquistarsi un proprio spazio potenzialmente competitivo, in qualche caso egemonico, riguardo ai vicini confinanti e soprattutto sul mare. E non si tratta di un impegno settoriale limitato all’area del sud-est asiatico, ma si estende ad altre aree dell’oceano Pacifico e di quello Indiano, come nel caso recente dello stabilimento di una base a Gibuti.
                                                            
Si aggiunge anche che la Cina manifesta attualmente un fortissimo interesse verso altri poli. In primo luogo verso l’Africa, verso cui questa base di Gibuti, assieme al controllo delle rotte del petrolio, costituisce un importante supporto. Non dimentichiamo che da qualche anno l’impegno cinese in Africa si è intensificato al punto di diventare un investitore importante in quell’area, forse il principale, con un occhio particolarmente rivolto allo sviluppo agricolo e quindi ai rifornimenti alimentari. Inoltre la recente riammissione dell’Iran ai rapporti internazionali ha riaperto, sia pure sub iudice,  quella che era una tradizionale via d’interscambio legata non solo al petrolio e che potrebbe riproporsi anche in un sistema di alleanze regionali all’interno di quel nuovo sistema euroasiatico verso cui propende anche la Russia di Putin.

Si tratta peraltro di un complesso di avvenimenti che solo gli eurocentrici considerano periferici e regionali ed ai quali gli stessi Usa negli ultimi anni sono stati interessati più come badanti internazionali che come protagonisti, nel quale però si sviluppano alcuni processi di media potenza e prove di riammissione tra le superpotenze mondiali, tanto che si configura adesso difficile, anche per gli Stati Uniti, affrontare nuovi complessi nodi quale quello dei mari del sud-est asiatico di cui prima si è fatto cenno. Attualmente il punto di frizione tra la Cina ed i suoi vicini  è concentrato sulle rispettive pretese intorno alle isole Spratly ed al problema delle piattaforme artificiali costruite dai cinesi, ma attorno a questo nuovo interesse non è difficile intravedere una causa prima che riguarda le forniture di petrolio, di cui la Cina è uno dei massimi consumatori ed al tempo stesso uno dei massimi importatori; e l’area marittima del sud-est asiatico dove la Cina consolida le sue basi ne è una delle aree più ricche al mondo. La medesima macroarea del Mar Cinese Meridionale è inoltre la zona più trafficata dei trasporti marittimi mondiali, così che è da comprendere la corsa ad esercitarvi una supremazia.

Tutto questo al futuro presidente USA ed al suo governo non potrà restare indifferente, soprattutto considerando la vecchia, ma mai rinnegata dottrina americana, secondo cui il controllo delle vie marittime e quindi la superiorità navale costituisce il presupposto primario della supremazia mondiale.  Difficoltà queste che sono acuite dal fatto che questa area geografica, che comprende sia l’Estremo Oriente che il Sud-Est Asiatico e si estende fino all’India, è ricca di competitività tra le nazioni ed anche di situazioni critiche e di nodi da sciogliere. Tra le prime, oltre la questione delle isole Spratly e delle piattaforme, ci sono da mettere in conto i differenti posizionamenti dei paesi della penisola indocinese nei confronti di Pechino; tra le seconde le difficoltà competitive e l’aspirazione a riemergere dell’attuale Giappone nonché l’imbarazzante, per tutti, presenza della Corea del Nord.


Silla Cellino

Nessun commento:

Posta un commento