pubblicato su pensalibero.it del 5 febbraio 2012
Al momento il suo impegno, più che un’esplosione esterna, sembra piuttosto quello di ritagliarsi uno spazio ed anche un ruolo di prima fila all’interno del pd.
L’avevano dato per disperso Matteo Renzi dopo l’avvento del governo dei professori e invece è tornato insieme ai freddi di febbraio, con un’intervista al Foglio ed un intervento televisivo, a suonare la sua fanfara, anche se per ora adopera un po’ la sordina. E nella sua posizione si può capire. C’è un governo che ha bypassato le formalità ed è saltato alla fase realizzativa, un po’ come avrebbe voluto far lui – ma il professore ed il suo mentore dal Colle l’hanno fatto senza chiedere il consenso all’elettorato – puntellato invece dallo stato di necessità incrociato delle forze o magari delle debolezze politiche. C’è un partito democratico che è stato costretto a buttare all’aria l’alleanza di Vasto, senza sostituirla con una diversa direzione di movimento. C’è un’area centrista che scommette sulla crisi del berlusconismo per mettere le mani sul vasto ed informe corpo della destra moderata e conservatrice. Perciò il big bang, che aveva come obiettivo lo sfondamento al centro con la ricerca di consensi anche in quell’area, si trova per il momento privo di qualche gamba del tavolo.
In una situazione del genere è quasi inevitabile ritrovare un Renzi meno combattivo e probabilmente anche preoccupato di esporsi come protagonista. Per questo al momento il suo impegno, più che un’esplosione esterna, sembra piuttosto quello di ritagliarsi uno spazio ed anche un ruolo di prima fila all’interno del pd; e come conseguenza logica subentra la preoccupazione di immaginare un pd che possa essere fatto su misura per le sue ambizioni. Nel disegnare un sommario identikit di questo partito, Renzi muove da due esigenze: un sistema politico basato esclusivamente su una scelta bipolare e, all’interno del sistema, un partito democratico inteso come grande contenitore a vocazione maggioritaria e costruito sulla base di una concezione liberale della politica.
Temo che si tratti di due sogni. Partiamo dal partito. Renzi afferma che in questi mesi [forse per effetto non dimostrabile del governo Monti. n.d.r.] è in corso una rivoluzione che sta trasformando sempre di più i partiti in grandi contenitori, ma non ci dice come deve essere il grande contenitore a sinistra: cioè se ad esso dovranno far riferimento tutte le espressioni presenti in quest’area oppure se dovrà essere solo l’attuale pd alla cui egemonia obtorto collo tutti gli altri si dovranno rassegnare. Immagino che preferisca la seconda opzione, però non è che anche all’interno dell’attuale pd si possano ritrovare facilmente i germi di una tale impostazione. La vicenda lavoro è esemplare, ma nel suo piccolo anche il voto sulla responsabilità civile dei giudici ci può dire qualcosa. Le linee di frattura che sono presenti nell’intero schieramento collocato oltre il centro sono in gran parte presenti anche all’interno del pd, che potrà diventare un contenitore in cui si discute, ma non è scontato che alla fine della discussione si possa intraprendere una linea che vada da una parte e faccia delle scelte. E soprattutto che queste scelte vadano in una direzione liberale, come Renzi si augura. Per inciso una domanda: riconoscere al sindacato un potere contrattuale elevato ed al di là della consistenza rappresentativa effettiva è tanto liberale? Domanda rivolta al pd, futuro grande contenitore, non certo a Renzi che si dichiara fan del modello Marchionne e ritiene auspicabile un’eliminazione generalizzata dell’obbligo di applicare i contratti collettivi di settore (sic nell’intervista al Foglio).
Questo per quanto riguarda il partito democratico. Nel sistema dei partiti invece la crisi della destra impone una riclassificazione del più ampio schieramento che si richiama anche al centro, oltre che alla destra. Sì, perché Casini e Fini hanno origine dal big bang del centro destra all’epoca del primo governo Berlusconi e la loro successiva presa di distanza non è certo figlia di uno spostamento di equilibri sul piano della rappresentatività sociale, perché in fondo in fondo – e lo dimostrano anche le alleanze locali – essi sono espressione dello stesso corpo sociale, degli stessi interessi, anche se non più degli interessi personali di Silvio. Renzi immagina che anche qui ci sia la possibilità che si formi un grande contenitore, ma non considera che ai margini di questo contenitore possano restare altre forze, non solo la Lega e sarebbe già tanto, ma anche una destra destra, che sia pur sonnecchiando è sempre esistita, ma che potrebbe riemergere anche con nuovi apporti o apporti di ritorno.
E allora questo grande contesto bipolarista che sembra così caro a Matteo Renzi non finirà per ritrovarsi un tantino problematico? Può darsi: a meno che la constatazione dell’impossibilità di questo disegno non si risolva in un buon alibi per autorizzare un’uscita di sicurezza.
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