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martedì 14 giugno 2011

Tre domande a Renzi

pubblicato su www.pensalibero.it del 20 giugno 2011

Si sono spenti i riflettori dei referendum e subito è cominciata la danza del cappello, quella di chi il cappello lo mette per primo e quella di chi lo mette più grosso, a coprire il più ampio spazio possibile. E’ la vita: da sempre succede così nelle file dei vincitori. Come succede anche che tra le file dei vinti ci sia quello che è accusato di aver perso di più, quello che dice di aver perso di meno e anche quello che ammette di aver perso, ma.

Non è questo però l’argomento che più ci appassiona, mentre invece ci interessa capire che cosa succederà e se si può fare qualcosa per farlo succedere meglio. O meno peggio, a seconda dell’indole di ciascuno. Il problema centrale non è l’autocelebrazione della vittoria da parte del fronte del sì, ma capire, soprattutto da parte di chi ha vinto, perché la destra – o il centrodestra se qualcuno preferisce -  è uscita sconfitta, parzialmente dalle elezioni amministrative, completamente dai referendum e se questa sconfitta sia definitiva oppure sia solo un episodio, però significativo, nell’ottica di ridisegnare i motivi ed i contenuti della propria presenza. E ancora se questa presenza dovrà essere con o senza Berlusconi; che Berlusconi lo voglia o non lo voglia; con l’appoggio o senza l’appoggio della Lega; se infine la destra o il centro destra non siano ancora radicati nel paese o in certe zone del paese e che cosa rappresenti questo radicamento in termini di gestione del potere. E senza  per carità riferirsi ai poteri forti, perché da tempo veleggiano altrove.
                                                  
Non so se nel parco dei vincitori ci sia stata finora la voglia, più che la capacità, di fare valutazioni di questo tipo ed agire di conseguenza, ma le prime indicazioni sembrano andare in direzione contraria, se l’analisi del fronte contrapposto si limita alle demonizzazioni e non ne individua le specificità. C’è una scarsa volontà di impegnarsi in questa direzione e prova ne è che l’unica uscita politica accomuna Bersani e Vendola a reclamare una svolta, caduta del governo e nuove elezioni, con una proposta di alleanze che alla fine ricorda un po’ il vizietto frontista, quanto a schieramento, ma anche a contenuti: cioè pochi. E non è un caso che i primi distinguo e le resistenze all’operazione vengano da Di Pietro che in fatto di fiuto sulle tendenze sotterranee dell’elettorato non è secondo a nessuno e punta perciò a catalizzare lo scontento a tutto vantaggio del proprio movimento e non dello schieramento generale di cui poco si cura.

E le domande a Renzi? Ah, sì. Ne avevo pensate tre, ma ora mi accorgo che ne basta una e magari è anche un po’ retorica. Ma valeva proprio la pena fare tanto casino mediatico, scrivere un libro, girare l’Italia per presentarlo se poi i due presupposti della tua idea, un modo di far politica basato sui propositi e sulle cose da fare e una selezione della classe dirigente di conseguenza, ed anche – diciamolo – una concezione laica dell’impegno nella vita pubblica nonostante la tua provenienza cattolica, vengono brutalmente messi da parte dalla politica urlata di queste ore? Secondo me dovresti impegnarti di più.

Silla Cellino

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