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sabato 30 aprile 2011

Tra famiglia e lavoro è tempo di conciliare

di Silla Cellino
consulente del lavoro in Firenze


pubblicato sul n. 16/2011 di Consulenza Buffetti


Non si può certo dire che l’Italia navighi in buone acque dal punto di vista delle risorse da destinare alle politiche di  governo. Sugli incentivi all’economia, alla ricerca, all’istruzione, alla cultura, non solo ma su tutti gli aspetti che maggiormente hanno riguardato l’investimento sociale la pesante crisi internazionale non ha mancato di produrre i suoi frutti negativi, che sono stati anche l’occasione per decise e vigorose contestazioni a tutti i livelli. E’ perciò con un certo sollievo che si prende atto di un impegno collettivo tra governo e forze sociali che apparentemente va in controtendenza, ma che alla fin fine si situa nella stessa direzione perché investire [meglio sarebbe dire coinvestire] nella compatibilità lavoro-famiglia significa anche risparmiare costi sociali per l’assistenza complementare.

E’ anche questo il senso che si deve dare all’avviso comune recentemente stipulato tra ministero del lavoro e sindacati [in questo caso tutti] in materia di azioni a sostegno delle politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro. E’ intuitiva la portata della materia nella società attuale dove le donne giocano un ruolo enormemente più importante che in passato, però può essere utile accennarne gli aspetti più significativi ed anche un po’ di storia, anche alla luce comparata di alcune esperienze in campo internazionale.

L’inserimento della donna nel panorama lavorativo italiano non è certo massiccio ed è ben lungi dall’essere completo. In più dobbiamo registrare un divario qualitativo tra l’occupazione maschile e quella femminile; qualitativo inteso non solo per i livelli d’impegno e d’inquadramento raggiunti rispettivamente dall’uomo e dalla donna, ma anche per l’aspetto misurabile del lavoro stesso rispetto alla sua stabilità, nel senso che il lavoro della donna è più instabile o provvisorio rispetto a quello dell’uomo. Fonti del Ministero del Lavoro relative al 2009 [ultimo periodo di cui sono a disposizione le rilevazioni] calcolano la flessibilità delle donne all’1,5 come numero medio di rapporti nel corso del trimestre rispetto all’1,3 per gli uomini; e si badi bene che si parla di lavoro dipendente e non delle varie incarnazioni del parasubordinato. Tuttavia, anche dovendo registrare queste insufficienze,  non c’è dubbio che siamo in presenza di un avanzamento  dal punto di vista delle opportunità, che comunque non esclude il manifestarsi di una serie di problematiche riguardanti il ruolo particolare della donna nell’assetto sociale, oggi come in quello di ieri. Tali problematiche direttamente o indirettamente fanno parte del rapporto con la famiglia, in primo luogo nei confronti dei figli, ma anche nell’assistenza agli anziani. Questa nuova necessità tocca in presa diretta l’ambiente femminile, però coinvolge pian piano ma in misura sempre crescente anche il genere maschile, si scontra duramente con i tempi dettati dal lavoro e impone l’adozione di azioni a sostegno.

Arriva adesso un’iniziativa pubblica e partecipata, tempestiva ed anche con presa di posizione coraggiosa, visti i tempi; però è doveroso osservare che, prima del pubblico, anche in Italia si era già manifestata una presa di coscienza del problema in alcune punte avanzate del sistema privato, mentre in altri paesi della nostra società occidentale erano le politiche governative a dettare programmi e criteri per favorire e quindi incentivare le compatibilità; così come era avvenuto in Inghilterra con Blair, quando il governo aveva messo a disposizione interventi mirati e di peso per la conciliazione tra stress lavorativo e bisogni familiari, ma anche negli Stati Uniti, in Canada o in Australia si sono finanziate politiche aziendali finalizzate al bilanciamento tra lavoro ed esigenze della famiglia. Sempre in Inghilterra oggi, nella big-society di Cameron, si decentrano le responsabilità verso le comunità intermedie, ma l’esigenza rimane la stessa.

A livello privato, come si è accennato, l’Italia non parte da zero. Senza scomodare l’esperienza molto significativa di Olivetti e di Ivrea, che però si svolgeva in un contesto sociale che non è più il nostro, si debbono registrare alcuni significativi esempi più recenti. Ci sono infatti diverse aziende, delle quali non mi sembra opportuno in questa sede fare il nome, alcune delle quali però stanno al top dell’eccellenza italiana, ma anche enti locali per i loro dipendenti, che si pongono il problema in maniera significativa ed operano costruttivamente per un sistema di welfare interno che va a coprire vuoti, ritardi o insufficienze del welfare pubblico [o anche a dialogare ed integrarsi con il welfare pubblico], soprattutto in direzione dell’assistenza sociale, delle problematiche familiari e delle conseguenze che queste hanno nel loro rapporto col lavoro.

Non è detto che l’avviso comune siglato tra il Ministero del Lavoro e le forze sindacali sia mirato a ricoprire questi vuoti, ritardi o insufficienze, però indubbiamente si muove con l’intenzione di far fronte a problematiche che, partendo dalla conciliazione lavoro famiglia, riescano col tempo ad affrontare tutta una serie di passaggi che vanno dal maggior coinvolgimento dei padri nella gestione familiare con una impostazione più allargata dei congedi parentali, agli accordi aziendali nella contrattazione di secondo livello o aziendale, fino all’incentivazione di politiche a dimensione locale che agevolino le condizioni per una maggiore mobilità e per l’uso di strutture sociali sempre più efficienti. Ma forse è meglio passare ad una illustrazione più approfondita dei contenuti dell’avviso comune e delle aspettative che lo stesso si propone.

Il documento approvato muove da alcune premesse, che possono catalogarsi quasi come necessità. Al centro dell’azione viene posta la famiglia, non solo nella sua concezione tradizionale di rapporto più o meno stabile tra i protagonisti attivi, ma anche come centro d’interesse a favore di quei soggetti che dalla famiglia dipendono senza esserne protagonisti diretti e che da una gestione equilibrata della famiglia ricevono assistenza e ristoro, parliamo principalmente degli anziani e dei bambini. Questa esigenza impone un bilanciamento più equilibrato tra tempo del lavoro e tempo della famiglia e se è vero che si auspica ed effettivamente si va verso una maggiore responsabilizzazione del partner maschile anche a livello di partecipazione alle vicende familiari, non c’è dubbio che il carico maggiore spetta sempre alla donna ed è precisamente per questo che la maggiore attenzione deve essere rivolta a sostenere la crescita dell’occupazione femminile, conciliandola con una sua maggiore caratterizzazione qualitativa.

Perciò le parti, governo e sindacati, firmatarie del protocollo convengono su alcuni principi che possono dar luogo ad altrettanti istituti da porre come obiettivo da perseguire con adeguati strumenti, sia normativi che contrattuali. In primo luogo la necessità di sviluppare un tipo di flessibilità cosiddettafamily-friendly, caratterizzata da un uso incentivato di tipologie di lavoro non tradizionali, ma ormai diffuse come le forme modulate o flessibili o anche consentite dallo sviluppo tecnologico come il telelavoro. Anche in considerazione che la modulazione di tempi ed orari di lavoro può venir attuata in modo da esser ricompresa nell’ambito di un incremento di produttività e che quindi può essere passibile di applicazione, a certe condizioni, delle misure fiscali di detassazione a favore del lavoratore e del regime di decontribuzione a favore del datore di lavoro, uno strumento primario è quello legislativo e, in subordine, quello della prassi ministeriale interpretativa rispetto a disposizioni di legge già in essere.

Ma la parte centrale e più significativa delle politiche di conciliazione non potrà realizzarsi che attraverso la pratica della contrattazione di secondo livello, anche con attenzione particolare alla dimensione aziendale: è infatti in questo ambito che si può trovare il miglior equilibrio tra le esigenze individuali e collettive del personale e quelle organizzative e produttive aziendali, in vista di un miglioramento dell’organizzazione complessiva, con benefici effetti sulle relazioni interne ed anche a favore dell’azienda. Secondo il documento approvato, è sempre in questo ambito “che può essere assicurata nel modo migliore la distribuzione degli orari di lavoro nell’arco della settimana, del mese, dell’anno, in risposta alle esigenze dei mercati adeguando – nel rispetto della normativa di legge – la durata media e massima degli orari di lavoro alle differenti esigenze produttive, conciliandole con il rispetto dei diritti e delle esigenze delle persone”. Del resto è facile notare che questa impostazione risponde non solo alle esigenze della forza lavoro interessata, ma spesso anche alle stesse esigenze delle aziende, le quali, in una certa misura ma in maniera sempre crescente, richiedono, come ha osservato Massimo Paci, “un lavoro sempre più flessibile in termini di orario. Questo processo riflette essenzialmente le esigenze delle aziende ed ha sollevato resistenze ed opposizioni da parte del sindacato. Tuttavia esso può riflettere anche alcune esigenze sentite dai lavoratori. Anche i lavoratori affrontano oggi seri problemi di organizzazione  della loro vita quotidiana, per i quali può essere utile una maggiore flessibilità oraria del rapporto di lavoro entro forme e misure ben determinate”.(1) Dello stesso parere anche Alessandra Servidori, consigliera nazionale di parità, quando afferma che “valorizzare la flessibilità concertata significa maggiore produttività aziendale, sperimentare strumenti alternativi di sostegno al reddito, dar vita ad un modello innovativo e complementare ai sistemi di remunerazione più tradizionali. Il welfare aziendale è uno strumento integrato da affiancare, come criterio di politiche attive, all’avviso comune presentato alle parti sociali e si inserisce nella prospettiva delle relazioni industriali orientate alla flessibilità, ma anche e soprattutto, alla condivisione delle responsabilità tra le parti sociali”. (2)

Di tali esigenze si è reso perciò consapevole anche il sindacato ed il suo intervento si rende manifesto anche nelle tematiche che formano l’avviso e gli impegni in esso contenuti e da sviluppare in un tavolo tecnico all’uopo istituito e nell’arco di novanta giorni. Tali impegni riguardano la possibilità di raggiungere intese in sede di contrattazione di secondo livello e [si può interpretare] anche aziendale in materia di:
*     orari di lavoro
*     lavoro a tempo parziale
*     telelavoro
*     permessi
*     rientro dalla maternità
*     welfare aziendale
*     criteri di valutazione della produttività
*     congedi parentali
tutti argomenti visti nell’ottica della conciliazione lavoro famiglia.

Ma non si possono concludere queste osservazioni senza accennare al documento di riferimento che sta alla base dell’intesa raggiunta ed i cui obiettivi si vogliono conseguire, ossia il Programma di azione per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro, facente parte del Piano d’azione Italia 2020, nel quale viene delineato un piano strategico per la conciliazione e le pari opportunità nell’accesso al lavoro e ciò dovrà avvenire – cito gli impegni di lavoro più significativi – attraverso lo sviluppo di nuove relazioni industriali volte a sviluppare forme di flessibilità negli orari ed anche nel luogo di lavoro, azioni di formazione ed aggiornamento per il reinserimento dopo la maternità, il potenziamento dei servizi di assistenza alla prima infanzia.

Sul tavolo delle intenzioni c’è parecchio. Vedremo se tempi, vicende e rapporti politici garantiranno anche un risultato.

Silla Cellino




(1) MASSIMO PACI. Nuovi lavori nuovo welfare, Il Mulino 2005, pag. 160
(2) ALESSANDRA SERVIDORI: Instant book in progress : dalla parte delle donne  e del lavoro. Per un 2011 di integrazione e sviluppo delle nostre energie e del bene comune, disponibile sul sito del Ministero del lavoro in http://www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/F05306D3-6A95-428F-B454-9B65290F48AE/0/INSTANTBOOK_ProgressREV20110315.pdf

1 commento:

  1. L’importanza di conciliare vita e lavoro è una priorità delle persone, per questo noi di Eudaimon da anni ci occupiamo di trovare soluzioni efficaci per migliorare il welfare aziendale: siamo l'unica società in Italia con una proposta completa per il benessere organizzativo, rivolta alle aziende che intendono crescere con il coinvolgimento dei collaboratori.
    E' nota infatti la tendenza alla crescita e al successo delle aziende attente al benessere dei propri collaboratori e disposte a investire in questo senso.

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