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venerdì 29 aprile 2011

La crisi nordafricana ridimensiona le banalità della politica italiana

pubblicato su www.pensalibero.it il 12 aprile 2011




Sarebbe cinico accogliere con soddisfazione la crisi nordafricana per affermare che abbiamo ritrovato il gusto della politica internazionale. Oltretutto sarebbe anche inesatto, perché più propriamente la politica internazionale c’è cascata addosso proprio quando altre poco nobili questioni agitavano i rapporti tra le forze politiche. Però è vero che gli animi più coscienti – non dico i migliori – possono guardare con distacco alle vicende nostrane per indagare invece quale sarà il futuro che la storia ci riserva nel concerto euro-mediterraneo sempre più decisivo nell’agone mondiale. Ma più che altro per capire se di questo futuro l’Italia potrà contribuire in qualche modo a scrivere qualche pagina, magari non più nell’ottica di potenza, come si conveniva in altre epoche, ma nell’intento di fare del Mediterraneo un laboratorio di rapporti e di incontro tra due mondi che per troppo tempo sono stati lontani e non si sono compresi a vicenda.

Purtroppo, specie nel caso delle vicende libiche, ma anche per la Tunisia, l’esperienza attuale conferma che l’Europa è largamente impreparata a giocare un ruolo che sia diverso dalla politica di potenza. E nemmeno si può parlare di Europa come potenza, almeno si tratterebbe di qualcosa di nuovo: restano invece le piccole aspirazioni che, diciamolo francamente, finiscono per sembrare un po’ ridicole e se in Italia ci siamo abituati ad alcuni governanti un po’ macchiette, che succeda anche in Europa esteriormente ci può anche confortare, ma intimamente ci deprime e nemmeno poco.

Ma questo è solo un segno di quanto ancora restiamo confinati nelle piccole trame di una politica internazionale che in Europa crediamo di risolvere per conto nostro, mentre il mondo e le sue logiche, non solo d’interesse economico e di potenza ma anche sociali e in parte ideologiche camminano in un’altra direzione. Perciò più importante, quando saremo usciti dall’emotività e dallo strazio per le inutili morti di questi giorni, sarà fare un bilancio di come la nostra civiltà, la nostra storia, la nostra cultura si pongono di fronte alle grandi disuguaglianze planetarie, proprio ora, nel tempo in cui di queste disuguaglianze possiamo avere in ogni momento la percezione in tempo reale.

E allora c’è una doppia fase per l’impegno. La prima, immediata, è di come rispondere all’emergenza e su come dare aiuto ed accoglienza a chi fugge per rifarsi una vita altrove o per ricongiungersi ai propri cari, sia che cerchi un’integrazione, sia nell’attesa di tornare in condizioni migliori al proprio paese d’origine. E su questo punto stiamo misurando - per limitarci all’Italia ma analoghe considerazioni potremmo fare per i nostri vicini europei - una frattura di pensiero e di comportamenti che spesso annulla le vecchie distinzioni tra destra e sinistra, però ha il merito di identificare le posizioni xenofobe e magari di accorgerci che non sono né marginali né collocate in un solo versante, sociale o politico che sia.


Ma la seconda fase dovrà essere necessariamente creativa. E non solo perché arriverà un giorno in cui non sarà più possibile inventare politiche da nazione a nazione su come accogliere oppure integrare coloro che scappano alla ricerca di un destino migliore, ma perché dovremo riconoscere - e non per nostra comodità - che ognuno ha diritto di vivere e migliorare la propria vita nel proprio paese, con il suo ambiente, le sue abitudini, la sua cultura, la sua famiglia. Ma anche perché sarà interesse di una nazione come l’Italia o di un’espressione socio-politica maggiore come l’Europa stabilire rapporti di collaborazione costruttiva che portino ad un progresso comune e non ad uno scontro. Poiché si tratta di un ribaltamento culturale, l’elaborazione nei nuovi modelli sarà in primo luogo compito dei nostri intellettuali e dei nostri tecnici e non è detto che si tratti di un processo né scontato né breve, ma poi sarà necessaria l’azione dei nostri politici, quelli veri. Che al momento non ci sono, oppure si nascondono molto bene.

Silla Cellino


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