Quanto scrive Tommaso Ciuffoletti sul Corriere Fiorentino riguardo ai possibili rapporti tra Matteo Renzi ed una presunta anima liberal del Pd, mi trova completamente d’accordo a metà, per dirla alla Trapattoni. E non perché ritengo l’analisi di Ciuffoletti giusta solo parzialmente, tutt’altro, ma perché è il personaggio Renzi che sfugge a qualsiasi classificazione: lui non va per storia, tradizione, retaggio culturale, lui va per obiettivi. Quindi va giudicato per questi obiettivi, quelli che si propone, quelli che raggiunge, al di là di quelli della sua affermazione personale, che sono importanti, ma che ai nostri occhi contano meno rispetto alle sorti di una presenza politica dell’area che attualmente il Partito democratico occupa quasi per inerzia, con scarsa capacità di qualificarla.
Sono d’accordo sul fatto che il discorso di Veltroni al Lingotto abbia rappresentato l’unico tentativo operato nel corso degli ultimi anni di dare sistemazione ad una ipotesi consapevolmente e compiutamente riformatrice, arricchita dal corollario della vocazione maggioritaria. Viene invece sottovalutato l’errore che allora Veltroni fece, cioè quello di voler raggruppare un consenso ecumenico attorno al proprio nome, anziché sollecitare un dibattito e magari anche uno scontro attorno alle proprie posizioni, dimenticando che le leadership, quelle vere, si costruiscono certo sulle nuove idee, ma anche sulla lotta e sugli scontri che attorno a queste si accendono.
Sono meno d’accordo sul fatto che Matteo Renzi sia in grado di riproporre la strada allora tracciata da Veltroni e portarla a compimento, anche perché dal canto suo non ha lanciato nuove idee, semmai nuovi pragmatismi, condizionati – è giusto riconoscerlo – dal fatto che la sua esperienza, tracciata nella dimensione dell’amministrazione fiorentina, che oggi Renzi vive e di cui è protagonista, non concede di più. Lui stesso fa meritori sforzi per nobilitarla, ma si trova intorno assetti consolidati che vanno nella direzione opposta e qualche battaglia finisce per perderla, come si è scritto altre volte.
Invece è abbastanza chiaro che Renzi si propone di raggiungere posizioni di rilievo nei futuri assetti del Pd nazionale, anche se giudiziosamente si tiene ancora in seconda linea per il primato o almeno così dice. In questo caso, come è nella sostanza degli interventi che ci propina da tutte le televisioni nazionali e – immagino – anche nel giroditalia in cui presenta il suo libro, l’auspicio che trae Ciuffoletti di poter portare alla ribalta quell’area che ha continuato a proporre prospettive liberali e riformatrici alla sinistra italiana appare per ora piuttosto assente ed anche un tantino illusorio.
E forse è un bene che sia così, perché è sui pragmatismi che Renzi deve continuare a puntare: in assenza ancora di un progetto compiuto per poter presentare un’alternativa anche con idee diverse all’attuale palude stagnante del suo partito, la proposizione di obiettivi intermedi, vuoi per un rinnovamento nella conduzione del partito, vuoi per una diversa dialettica con le altre forze politiche, anche quelle che stanno dall’altra parte, può inaugurare una stagione in cui niente è scontato o rifritto. Un tale atteggiamento potrà magari far storcere un po’ il naso a quelli come noi che appartengono ad una corrente di pensiero più sensibile a programmi e ideologie in quanto impegnata in senso laico e riformatore, però rappresentano una possibile via d’uscita, forse non l’unica, ma adesso la più percorribile per evitare la fine di Veltroni, in un certo senso quella maledizione.
Silla Cellino
pubblicato su pensalibero.it il 21 marzo 2011
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