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lunedì 7 gennaio 2019

Rimani malato all’estero?



Le cose da fare te le dice una guida dell’Inps
pubblicato su Consulenza, la rivista di Buffetti il 9 gennaio 2019
Possono essere diverse le occasioni, al giorno d’oggi, per cui un cittadino italiano si reca all’estero, vuoi per lavoro, vuoi per turismo, vuoi per altre necessità, anche di carattere familiare, per soggiorni di durata variabile, più o meno lunghi. Può accadere anche che ci si possa recare fuori dai nostri confini per sostenere cure per malattia o altre indisposizioni. La legge italiana e la prassi amministrativa sono più volte intervenute individuando i casi che si possono presentare nell’eventualità che durante il soggiorno all’estero insorga una malattia o altro evento invalidante, che non consentano una normale attività, tanto lavorativa quanto di fruibilità del periodo feriale.
Le disposizioni che regolano la certificazione ed il trattamento di malattia dei cittadini italiani all’estero sono varie, a seconda che  il soggiorno riguardi situazioni lavorative oppure turismo o altre cause non legate al lavoro. Nel caso di lavoratori temporaneamente occupati all’estero esiste una procedura ormai consolidata per il caso che il lavoratore sia dipendente da aziende italiane operanti in paesi dell’Unione Europea oppure disciplinati da convenzioni bilaterali con l’Italia. In questa sede ci occupiamo però più diffusamente di chi si trovi all’estero e basta e che, durante il suo soggiorno, incorra in una malattia fuori dai confini nazionali. Anzi se ne occupa una guida informativa  che l’Inps ha diffuso recentemente sull’ argomento.
Viene innanzi tutto ribadito il principio, già noto, che il cittadino italiano che temporaneamente si trovi all’estero abbia comunque diritto, in caso di malattia intervenuta, alle prestazioni economiche previste dalla normativa italiana, a condizione, naturalmente, che sia un lavoratore titolare di una posizione previdenziale. Però perché questo diritto possa essere effettivamente esercitato è necessario che si registrino alcune condizioni.
In primo luogo e in ogni caso, la certificazione medica. È intuitivo che verrà rilasciata da un medico del paese dove l’interessato si trova nel momento in cui l’impedimento insorge, ma è abbastanza evidente anche che potremmo essere, anzi sicuramente saremo, in una situazione legislativa e di prassi che dovremo adattare alle regole in uso nel nostro paese per poter aver diritto alle prestazioni relative al temporaneo stato d’ incapacità lavorativa. È chiaro che se l’interessato sta soggiornando all’estero per un periodo di ferie lo stato di malattia interrompe le ferie, non solo, ma il medesimo avrà diritto alle prestazione previdenziali di malattia alla stessa stregua di un evento che si verifichi nel nostro paese. È altrettanto chiaro che lo stato di malattia decorrerà dal giorno in cui sarà stato dichiarato dal medico, per cui sarà opportuno che l’attestazione d’incapacità lavorativa venga rilasciata il primo giorno dell’evento. L’Inps ricorda anche che tale certificazione, che comunque  sarà redatta nel rispetto della legislazione del paese in cui si verifica l’evento, dovrà contenere i dati essenziali richiesti dalla normativa italiana, ossia (riporto testualmente dalla pubblicazione Inps) intestazione, dati anagrafici del lavoratore, prognosi, diagnosi d’ incapacità al lavoro, indirizzo di reperibilità, data di redazione, timbro e firma del medico. Da sottolineare l’importanza dell’indirizzo di reperibilità perché, anche se l’interessato si trova all’estero, possono essere effettuate visite di controllo per accertare l’effettività dell’impedimento e lo stato d’incapacità al lavoro.
Ci sono però, per oggettive situazioni, modalità diverse a seconda che l’evento insorga in un paese dell’Unione Europea, oppure in una nazione che non ne fa parte; e anche in questo secondo caso bisogna distinguere se il cittadino caduto ammalato si trova in una nazione che abbia stipulato accordi o convenzioni di sicurezza sociale con l‘Italia oppure no. Ad ogni modo però, la regola del primo giorno d’insorgenza della malattia per ottenere il certificato medico non muta.
Nella prima eventualità (impedimento insorto in un paese facente parte dell’Unione Europea) occorre rifarsi alle disposizione comunitarie, le quali prevedono l’ applicazione della normativa del paese d’origine. Perciò nel nostro caso, il cittadino lavoratore italiano che cada ammalato oppure subisca un infortunio durante un soggiorno in un paese dell’Unione dovrà rivolgersi ad un medico del paese che lo ospita, farsi rilasciare il certificato e trasmetterlo entro due giorni alla sede Inps di competenza, nonché nello stesso termine al datore di lavoro. È intuitivo che l’incombenza è a carico suo e non del medico, che non ha rapporti col nostro servizio sanitario nazionale. L’onere della traduzione del certificato, che sarà presumibilmente rilasciato nella lingua del paese ospitante è a carico dell’Inps[1]. Nulla si dice invece in proposito per la copia destinata al datore di lavoro, che dovrà evidentemente provvedere alla traduzione per conto proprio.
Più complessa invece risulta la procedura se il cittadino italiano cade ammalato in un paese non facente parte dell’Unione Europea, ma in questo caso occorre distinguere se si tratta di un paese  con cui siano stati stabiliti accordi o convenzioni bilaterali di sicurezza sociale oppure no. Entra in gioco infatti l’istituto della legalizzazione, che consiste, come spiega la circolare Inps n. 136 del 25 luglio 2003, nell’attestazione fornita dall’ autorità diplomatica o consolare operante nel territorio estero interessato, che il documento rilasciato dal medico è valido ai fini certificativi secondo le disposizioni locali; tale attestazione integra la conformità all’originale della traduzione effettuata dal traduttore abilitato. Tale legalizzazione, che come abbiamo visto non viene richiesta se l’assenza dal lavoro o l’interruzione delle ferie è causata per un evento accaduto in un paese UE, non è ritenuta necessaria neppure per quei paesi che abbiano stipulato la convenzione bilaterale di cui sopra; la circolare fornisce anche un elenco non esaustivo di questi paesi e precisamente Argentina, Bosnia-Erzegovina, Brasile, Jersey e Isole del Canale, Macedonia, Montenegro, Principato di Monaco, Repubblica di San Marino, Serbia, Tunisia, Uruguay e Venezuela. Resta peraltro inteso che l’esistenza della convenzione bilaterale equipara di fatto tali paesi, per questa specifica funzione, ai paesi dell’Unione Europea.
L’istituto della legalizzazione invece deve operare necessariamente per tutti i paesi extra Ue con i quali l’Italia non abbia stipulato accordi o convenzioni bilaterali. C’è da considerare tuttavia che, fermo restando l’ obbligo per il cittadino italiano interessato di trasmettere all’Inps e al datore di lavoro la certificazione semplice entro due giorni dal rilascio, i tempi della legalizzazione sono quasi certamente più lunghi e pertanto non viene fissato un termine temporale di scadenza, potendo anzi il lavoratore stesso presentare la certificazione legalizzata in un momento successivo al rientro oppure per via epistolare, restando inteso che l’Inps potrà corrispondere l’indennità solo a presentazione avvenuta. Lo stabilisce sempre la citata circolare 136.
Esiste però un’eccezione di carattere agevolante anche a questa regola e riguarda i rapporti con i paesi aderenti alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, che sono precisamente in numero di 76, tra cui, maggiormente significativi per le relazioni col nostro paese, Albania, Australia, Cile, Cina popolare, Russia, Filippine, Giappone, India, Israele, Marocco, Messico, Nuova Zelanda, Corea, Turchia, Ucraina ed anche Stati Uniti d’America. Infatti, per eventi di morbilità che interessino il lavoratore italiano in uno di questi paesi non viene richiesta una legalizzazione piena, a condizione che la certificazione presentata rechi la cosiddetta apostille.
Che cos’è questa apostille? Si tratta di un termine francese, che tradotto in italiano vuol dire semplicemente postilla, ma che nel linguaggio internazionale assume un significato più complesso, nel senso che definisce un istituto giuridico di convalida, da parte di un’autorità competente, dell’ autenticità di un atto pubblico o anche tra privati. In particolare l’Inps nella guida di cui trattiamo la definisce “un tipo di legalizzazione semplificata che certifica l’autenticità della firma, la qualità del firmatario e l’autenticità del sigillo o del timbro apposto”. In termini pratici, affinché la certificazione medica sia da intendersi come legalizzata non sarà necessario recarsi presso la rappresentanza diplomatica italiana, ambasciata o consolato, ma sarà sufficiente che questa sia validata da un’autorità interna dello stato in cui la circostanza si sia verificata. In generale ogni singola convenzione definisce e richiama le specifiche autorità autorizzate a questo scopo, che sono sempre di derivazione pubblica o svolgenti funzioni pubbliche, come avviene in qualche caso per i notai, per esempio in Argentina.
La guida dell’Inps, infine, esamina la possibilità che ci si possa recare all’estero anche nel corso di una malattia, come può avvenire ad esempio nel caso l’ammalato abbia bisogno di cure o di soggiorni curativi da rendersi o svolgersi in luoghi particolari al di fuori dei nostri confini, ma anche indipendentemente da queste necessità. In frangenti di questo tipo sarà necessario per l’ interessato, pena la perdita del diritto alla tutela previdenziale, darne comunicazione preventiva all’Inps, affinché l’istituto stesso sia in grado di valutare, anche a mezzo di apposita visita ambulatoriale, se il soggiorno possa recare nocumento al regolare decorso della malattia, anche al fine di evitare rischi di complicazioni o di aggravamento. Con l’avvertenza di comunicare preventivamente l’indirizzo estero a cui l’interessato può essere reperibile per ogni necessità. Visite di controllo incluse.



[1] Ne fa menzione l’Inps con messaggio n. 28978 del 3 dicembre 2007, nel quale si afferma che, per quanto riguarda la certificazione medica da esibire all’Istituto in caso di incapacità temporanea al lavoro, i cittadini comunitari, conseguentemente al principio di non discriminazione, non hanno l’onere di far pervenire la certificazione medica in lingua italiana; di conseguenza l’onere grava in capo alle sedi dell’Inps, che utilizzeranno i competenti uffici individuati presso ogni regione.

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